mercoledì 28 dicembre 2011

Martin Luther King

Abbiamo imparato a volare come gli uccelli,
a nuotare come i pesci,
ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli.

giovedì 8 dicembre 2011

GIURAMENTO di IPPOCRATE
Testo "classico" del Giuramento Ippocratico.
Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli Dei e le Dee, chiamandoli a testimoni che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Terrò chi mi ha insegnato quest' arte in conto di genitore e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà bisogno lo metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con Lui, e considerò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest'arte se vorranno apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti. Metterò a parte dei precetti e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i miei figli del mio maestro e i discepoli che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento medico e nessun altro. Scegliero' il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un' iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l'aborto. Conserverò pia e pura la mia vita e la mia arte. Non opererò neppure chi soffre di mal della pietra, ma cederò il posto a chi è esperto di questa pratica. In tutte le case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi ad ogni offesa e da ogni danno volontario, e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli uomini, sia liberi che schiavi. Tutto ciò ch'io vedrò e ascolterò nell'esercizio della mia professione, o anche al di fuori della della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev'essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei frutti della vita e dell' arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.

lunedì 5 dicembre 2011

NON COMPRIAMO PRODOTTI SPORCHI DI SANGUE.....

Diesel, Dolce & Gabbana e xxxxx sono firme notissime della moda italiana nel mondo. Sono anche fra le imprese che rifiutano di aprire un confronto con la Campagna Abiti Puliti per porre fine alla sabbiatura dei jeans all’interno della loro catena di fornitura. La pericolosa tecnica sta mettendo a repentaglio la vita dei lavoratori nei paesi di produzione, dove migliaia di vite sono a rischio.
Killer Jeans
La Clean Clothes Campaign ha lanciato un appello ai produttori di jeans e ai governi per fermare la sabbiatura del denim. La sabbiatura (sandblasting) può causare una forma acuta di silicosi, malattia polmonare mortale. La tecnica sta mettendo in grave pericolo la vita di migliaia di lavoratori. È spesso eseguita in piccoli laboratori dell’economia sommersa nei paesi produttori di jeans come il Bangladesh, l’Egitto, la Cina, la Turchia, il Brasile e il Messico dove quasi tutti i jeans venduti in Europa sono prodotti. Nella sola Turchia, sono stati documentati 46 casi di decessi di sabbiatori a causa della silicosi.
Si tratta probabilmente solo la punta dell’iceberg.
Firma l’appello. Puoi fare la differenza!
In altri paesi non esistono statistiche disponibili ma il numero di vittime e potenziali vittime future è stimato essere molto elevato. La Clean Clothes Campaign (CCC), in collaborazione con il Comitato di Solidarietà dei Lavoratori della Sabbiatura in Turchia (Solidarity Committee of Sandblasting Labourers), chiede ai produttori di jeans di garantire che la sabbiatura sia eliminata dalla filiera produttiva. Un certo numero di aziende del settore moda e della distribuzione hanno già vietato la vendita di jeans sandblasted o hanno annunciato pubblicamente che li avrebbero eliminati gradualmente nei prossimi mesi. Tra questi Lévi-Strauss & Co. e Hennes & Mauritz (H & M).
La CCC invita i governi dei paesi produttori di jeans a mettere fuori legge la sabbiatura del denim, ad assicurare l’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e a garantire pensioni di invalidità ai sabbiatori che hanno contratto la silicosi. Anche i consumatori nei paesi importatori possono dare un contributo concreto assicurandosi che i jeans che acquistano non sono stati trattati con questo processo potenzialmente mortale.
I consumatori possono anche firmare un appello sul sito internazionale della CCC per sostenere le richieste della Campagna verso l’industria dei jeans e i governi.
Da gennaio 2011 la CCC avvierà un’azione di pressione diretta alle aziende di jeans che rifiuteranno di bandire la tecnica della sabbiatura dalla produzione alla quale tutti i consumatori partecipare attivamente.
Le organizzazioni possono aderire inviando una email a deb(at)lillinet.org.
Scarica la scheda di approfondimento sulla sabbiatura (sandblasting)
Scarica il report “Vittime della moda” (versione italiana)
Marchi importanti come Levi’s, H&M e C&A hanno già eliminato la sabbiatura dalle loro collezioni. GUCCI ha intrapreso una seria politica di sospensione aperta al confronto con tutte le parti sociali. E’ tempo di fare sentire la voce dei consumatori a tutte le altre imprese del settore perchè si assumano le proprie responsabilità
Anche tu puoi fare la tua parte per sostenere la campagna internazionale per l’abolizione dei jeans sabbiati. Un trattamento così pericoloso per la salute dei lavoratori che ha spinto migliaia fra attivisti, medici, sindacalisti e organizzazioni per i diritti umani a chiederne l’immediata abolizione.
smiley Jeans brands that publicly banned sandblasting Armani
Benetton
Bestseller (Jack&Jones, Mama-Licious, Name it, Object, Collectors Item, Only, Outfitters Nation, Pieces, Selected, Vero Moda)Burberry
C&A
Carrera Jeans
Charles Vögele
Esprit
Gucci
H&M
Levi-Strauss & Co. (Levi's, Dockers, Signature, Denizen)
New Yorker
Mango
Metro

New Look
Pepe Jeans
ReplayThe Just Group (Australia)
Versace
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Jeans brands that claim sandblasting doesn't take place in their supply chains, but haven't issued a public ban on the practice
Adolfo Dominquez
IC Companies
(Peak Performance, Tiger of Sweden, InWear, Jackpot, Cottonfield, Matinique, Part Two, By Malene Birger, Saint Tropez, Soaked in Luxury, Designers Remix, COMPANYS, Picturebank)
Holy Fashion Group (Strellson, Joop!, Tommy Hilfiger, Tailored, Windsor)

Prada
Roberto Cavalli
Street One
VF Corporation (Lee, Wrangler)

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Jeans brands that claim they will soon stop ordering for sandblasted jeans, but haven't publicly banned it yet.
Diesel
Inditex
(Zara, Bershka, Massimo Dutti, Pull & Bear)
Orsay
Primark
S.Oliver

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Jeans brands that refuse to ban sandblasting or failed to provide inormation on their sandblasting policies.
Dolce & Gabbana

Karl Marx

L'unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che entra realmente in possesso della collettività dei paesi moderni è il debito pubblico.
Il Capitale, Karl Marx (1867).

sabato 26 novembre 2011

Una Gran Ficata!!!!


E' passato almeno un anno da quando mio figlio Alessandro mi ha mostrato per la prima volta questo video che mostra un famoso flash mob e ancora oggi quando lo rivedo mi emoziono e gioisco fino alle lacrime. Vorrei trovare qualcosa di originale ed interigente da dire ma l'unica cosa che mi viene in mente è di consigliarvi ad alzare al massimo il volume ,ingrandire l'immagine e invitare chi già lo ha visto a riguardarlo e per chi invece non lo conosce a guardarlo per la prima volta.

mercoledì 23 novembre 2011

Giorgio Gaber - Un idea

Un'idea, un concetto, un'idea
finché resta un'idea è soltanto un'astrazione
se potessi mangiare un'idea
avrei fatto la mia rivoluzione.

In Virginia il signor Brown
era l'uomo più antirazzista
un giorno sua figlia sposò
un uomo di colore
lui disse: "Bene"
ma non era di buonumore.

Ad una conferenza
di donne femministe
si parlava di prender coscienza
e di liberazione
tutte cose giuste
per un'altra generazione.

Un'idea, un concetto, un'idea
finché resta un'idea è soltanto un'astrazione
se potessi mangiare un'idea
avrei fatto la mia rivoluzione.

Su un libro di psicologia
ho imparato a educare mio figlio
se cresce libero il bimbo
è molto più contento
l'ho lasciato fare
m'è venuto l'esaurimento.

Il mio amico voleva impostare
la famiglia in un modo nuovo
e disse alla moglie
"Se vuoi, mi puoi anche tradire".
Lei lo tradì
lui non riusciva più a dormire.

Un'idea, un concetto, un'idea
finché resta un'idea è soltanto un'astrazione
se potessi mangiare un'idea
avrei fatto la mia rivoluzione.

Aveva tante idee
era un uomo d'avanguardia
si vestiva di nuova cultura
cambiava ogni momento
ma quand'era nudo
era un uomo dell'Ottocento.

Ho voluto andare
ad una manifestazione
i compagni, la lotta di classe
tante cose belle
che ho nella testa
ma non ancora nella pelle.

Un'idea, un concetto, un'idea
finché resta un'idea è soltanto un'astrazione
se potessi mangiare un'idea
avrei fatto la mia rivoluzione
la mia rivoluzione, la mia rivoluzione.


Altri testi su: http://www.angolotesti.it/G/testi_canzoni_giorgio_gaber_4285/testo_canzone_unidea_154519.html
Tutto su Giorgio Gaber: http://www.musictory.it/musica/Giorgio+Gaber

lunedì 21 novembre 2011

Riccardo Mannerini scrive "EROINA"

Come potrò dire
a mia madre
che ho paura?
La vita,
il domani,
il dopodomani
e le altre albe
mi troveranno
a tremare
mentre
nel mio cervello
l’ottovolante della critica
ha rotto i freni
e il personale
è ubriaco.
Ho paura,
tanta paura,
e non c’è nascondiglio possibile
o rifugio sicuro.
Ho licenziato
Iddio
e buttato via una donna.
La mia patria
è come la mia intelligenza:
esiste, ma non la conosco.
Ho voluto
il vuoto.
Ho fatto
il vuoto.
Sono solo
e ho freddo
e gli altri nudi
ridono forte
mentre io striscio
verso un fuoco che non mi scalda.
Guardo avvilito
questo deserto
di grattacieli
e attonito
vedo sfilare
milioni di esseri di vetro.
Come potrò
dire a mia madre
che ho paura?
La vita,
il suo motivo,
e il cielo
e la terra
io non posso raggiungerli
e toccare…
Sono sospeso a un filo
che non esiste
e vivo la mia morte
come un anticipo terribile.
Mi è stato concesso
di non portare addosso
vermi
o lezzi o rosari.
Ho barattato
con una maledizione
vecchia ma in buono stato.
Fu un errore.
Non desto nemmeno
più la pietà
di una vergine e non posso
godere il dolore
di chi mi amava.
Se urlo chi sono,
dalla mia gola
escono deformati e trasformati
i suoni che vengono sentiti
come comuni discorsi.
Se scrivo il mio terrore,
chi lo legge teme di rivelarsi e fugge
per ritornare dopo aver comprato
del coraggio.
Solo quando
scadrà l’affitto
di questo corpo idiota
avrò un premio.
Sarò citato
di monito a coloro
che credono sia divertente
giocare a palla
col proprio cervello
riuscendo a lanciarlo
oltre la riga
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell’infinito.
Come potrò dire a mia madre
che ho paura?
Insegnami,
tu che mi ascolti,
un alfabeto diverso
da quello della mia vigliaccheria.



Testo successivamente rielaborato dall’Autore e da Fabrizio De André con il titolo “Cantico dei drogati” per l’album “Tutti morimmo a stento” del 1968 (n.d.c.)

domenica 20 novembre 2011

Fabrizio De Andre: La Canzone di Maggio

Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credevi assolti
siete lo stesso coinvolti.

Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le pantere
ci mordevano il sedere
lasciamoci in buonafede
massacrare sui marciapiedi
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c'eravate.

E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le "verità" della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se credente ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti. 


Canzone del Maggio (Preso da Wikipedia)

Il primo brano, Canzone del Maggio, è liberamente tratta da un canto del maggio francese del 1968 di Dominique Grange, il cui titolo è Chacun de vous est concerné[7]. Quando De André si mise in contatto con lei per pubblicare il pezzo, la cantante francese glielo regalò non chiedendo i diritti d'autore. Va però notata la grande differenza anche nella musica tra il brano di De André e la versione originale.
Della Canzone del Maggio esiste una versione dal testo differente (e lontano dalla traduzione letterale dell'originale[8]), presentata a volte dal vivo dal cantante genovese; di questa versione esiste una registrazione pubblicata dalla Produttori Associati in una cassetta antologica Stereo 8.
Il ritornello di questa versione recita "Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo"; sono presenti inoltre altre differenze.

martedì 15 novembre 2011

L'albero generoso, di Shel Silverstein

 
C'era una volta un albero che amava un bambino. Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni. Raccoglieva le foglie con le quali intrecciava corone per giocare al re della foresta. Si arrampicava sul tronco dell'albero e dondolava attaccato ai rami. Ne mangiava i frutti e poi, insieme, albero e bambino giocavano a nascondino.

Quando era stanco, il bambino si addormentava all'ombra dell'albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna-nanna.
Il bambino amava l'albero con tutto il suo piccolo cuore.
E l'albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l'albero rimaneva spesso solo.

Un giorno il bambino venne a vedere l'albero e l'albero gli disse:

"Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l'altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice".

"Sono troppo grande ormai per arrampicarmi sugli alberi e per giocare", disse il bambino. "Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi. Puoi darmi dei soldi?".

"Mi dispiace!, ripose l'albero, "ma io non ho soldi. Ho solo foglie e frutti. Prendi i miei frutti, bambino mio, e va' a venderli in città. Così avrai dei soldi e sarai felice".

Allora il bambino si arrampicò sull'albero, raccolse tutti i frutti e li portò via.

E l'albero fu felice.

Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare... E l'albero divenne triste.

Poi un giorno il bambino tornò; l'albero tremò di gioia e disse:

"Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l'altalena con i miei rami e sii felice".

"Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi", rispose il bambino. "Voglio una casa che mi ripari", continuò. "Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi darmi una casa?".

"Io non ho una casa", disse l'albero. "La mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa. Allora sarai felice".

Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa.

E l'albero fu felice.

Per molto tempo il bambino non venne. Quando ritornò, l'albero era così felice che risuciva a malapena a parlare.

"Avvicinati, bambino mio", mormorò, "vieni a giocare".

"Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare", disse il bambino. Voglio una barca per fuggire lontano da qui. Tu puoi darmi una barca?".

"Taglia il mio tronco e fatti una barca", disse l'albero. "Così potrai andartene ed essere felice".

Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire.

E l'albero fu felice... ma non del tutto.

Molto molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.

"Mi dispiace, bambino mio", disse l'albero, "ma non resta più niente da donarti. Non ho più frutti".

"I miei denti sono troppo deboli per dei frutti", disse il bambino.

"Non ho più rami", continuò l'albero, "non puoi più dondolarti".

"Sono troppo vecchio per dondolarmi ai rami", disse il bambino.

"Non ho più il tronco", disse l'albero. "Non puoi più arrampicarti".

"Sono troppo stanco per arrampicarmi", disse il bambino.

"Sono desolato", sospirò l'albero. "Vorrei tanto donarti qualcosa... ma non ho più niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto...".

"Non ho più bisogno di molto, ormai", disse il bambino. "Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco".

"Ebbene", disse l'albero, raddizzandosi quanto poteva, "ebbene, un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi. Avvicinati, bambino mio, siediti. Siediti e riposati".

Così fece il bambino.

E l'albero fu felice.
Questa sera siediti in un angolo tranquillo e aiuta il tuo cuore a ringraziare tutti gli "alberi" della tua vita.

lunedì 14 novembre 2011

Fortune (Fregata dal blog di Albatros)




Salgo sulla macchina infilo le chiavi non faccio l’avviamento, mi metto comodo al posto di guida. Prima tento di dipanare il filo dell’auricolare che puntualmente è aggrovigliato poi lo collego al cellulare. Seleziono il numero da chiamare e lo poggio nel vano portaoggetti. Accendo l’auto nel mentre i vetri si sono tutti appannati, aziono la ventola, attendo un istante mi guardo intorno, non c’è nessuno . Infilo la retro e sollevo lentamente la frizione, un ultimo sguardo, le ruote fanno 30° di giro e la strada prima deserta, si popola di auto che miracolosamente sono apparse e viaggiando quel tanto che basta per non farmi uscire dal parcheggio, si incolonnano ordinatamente al vicino semaforo, che nel mentre è diventato rosso.

Puntualmente l’immancabile pirla, arresta la sua auto dietro la mia, si accorge che mi impedisce di uscire , ma non può far altro che attendere che arrivi il verde. Non poteva sapere che volevo uscire dal parcheggio, sono praticamente fermo. Finalmente riesco a fare manovra, nel mentre è scattato di nuovo il rosso.
Questa volta in strada, penso a quanto vorrei essere altrove. Come sarebbe diversa la mia vita se riuscissi a trovare il tempo per fare le cose che più mi piacciono. Pensiero infantile, sono tra i fortunati che ancora lavorano e di fatto non gli manca nulla, eppure quel bisogno di libertà non mi abbandona.
Scatta il verde, infilo la prima poi la seconda e vado via, al lavoro. Io per strada come tanti altri, mi pare di sentire i loro pensieri avvertire il loro stato d’animo. “Ma quale progresso ?” ci affanniamo corriamo sempre di più, la nostra vita ai ritmi di :psw, sms ed e-mail . Ancora poco e sarò arrivato. Mi immergerò completamente nelle mie attività sino a sera, quando chiuderò la giornata salendo di nuovo in auto. Questa volta stanco e con la sensazione di non aver costruito nulla di utile, di aver partecipato a un teatrino, dove ognuno recita un proprio ruolo ed’ è diverso da ciò che da a vedere. Svolto a destra, abbandono il corso, sblocco la tastiera del cellulare e lascio che componga il numero.

Due squilli e mi risponde la mia compagna, le dico:” non ho voglia; scappiamo?” e lei senza chiedermi dove, mi risponde “si!!”

domenica 13 novembre 2011

Su questi ultimi giorni i miei pensieri confusi....

Non avendo ancora finito di digerire le terribili e tristi immagini della morte di Gheddafi ci siamo ritrovati schiaffeggiati da quelle delle inondazioni, dai grafici delle borse che crollano, dei conteggi dei voti in parlamento e da quelle delle dimissioni di Berlusconi.
Il mio confusissimo pensiero è che, sostanzialmente, per quelli che come me non possiedono assolutamente un cazzo, da una casa di proprietà ad una singola azione o a qualche euro in banca, con le dimissioni di Berlusconi  ed ognuna delle possibili conseguenze non cambi assolutamente nulla.
Il sor Silvio non mi è mai piaciuto e ne l'ho mai votato ma visti i suoi innegabili successi imprenditoriali ho sinceramente sperato che almeno facesse qualcosa di buono.
Senza mai averlo odiato, l'ho sempre visto come la logica espressione di quella bella fetta di italiani che amano il successo ed il denaro, anche se non è il loro, un italia populista ed egoista che va in chiesa e/o venera l 'immagine di Padre Pio ma che poi odia i Rom, che sventola i tricolori ma va a braccetto con la Lega, che applaudiva il Duce quando arringava le piazze ma che poi è sceso in quelle stesse piazze per appenderne il cadavere a testa in giu' ad un gancio da macellaio. Sarà forse per questo che ieri la cosa che più mi ha disturbato sono state le scene di tripudio da stadio davanti a parlamento e quirinale, becere manifestazioni di "linciaggio" cosi tipiche della specie umana, e per assurdo ho provato un istintiva simpatia per chi invece scendeva in piazza per difenderlo non rinnegandolo e cosi facendo almeno non rinnegandosi.
Odio invece questo mondo dominato dall'economia e dalla finanza, un mondo dove i più hanno tanto ma non se ne accorgono vivendo nel terrore di perderlo, dove chi ha poco o nulla commette l 'imperdonabile peccato di essere (per quanto ancora?) minoranza, e che quando esprime la propria rabbia, una rabbia figlia del disagio economico, culturale ed etico lo fa ciecamente perchè istintivamente avverte la propria totale impotenza di poter contare  o fare qualcosa, per poi inevitabilmente ritrovarsi additata, criticata e condannata da tutta l'opinine pubblico televisiva.
Cosi all'improvviso ci si accorge che molti di quelli che vanno allo stadio per fare "casino" sono gli stessi che scendono in piazza a scontrarsi con le forze dell'ordine e che "mio Dio!" hanno imparato a sopravvivere anche attraverso l' illegalita dello spaccio, dei piccoli furti e delle piccole rapine. Molti diranno che  non tutti sono  veri figli del disagio ma che tra questi ci sono anche tanti figli di borghesi, si è vero, ma ne sono sicuramente una minoranza, e poi anch'essi alla fine sono degli emarginati perchè risultato di un educazione priva di passioni nobili, senza ideali superiori e senza etica politica o religiosa.
Purtroppo finiscono per essere strumentalizzati da gran parte della stampa cosi da  poter sminuire le reali dimensioni di questa fetta della nostra società , fetta che  nel disagio reale se ne frega dello spread e del rating e che si sente emarginata, perseguitata e odiata e che sa amare solamente odiando e combattendo contro i mulini a vento ma che è capace di scendere nelle strade di Genova a spalare fango ed aiutare nei soccorsi, quei soccorsi che la stragrande maggioranza dei "ben pensanti" vede solo attraverso le immagini della televisione o dei monitor dei computer. Tutto questo mi fa essere pessimista ma non uccide la speranza che la parte migliore dell'animo umano alla fine prevalga su quella peggiore, tv permettendo.

giovedì 10 novembre 2011

Haka Ka Mate

Leader: Ringa pakia!
Batti le mani contro le cosce!

Uma tiraha!
Sbuffa col petto.

Turi whatia!
Piega le ginocchia!

Hope whai ake!
Lascia che i fianchi li seguano!

Waewae takahia kia kino!
Pesta i piedi più forte che puoi!




Leader: Ka mate, ka mate
È la morte, È la morte!
Squadra: Ka ora' Ka ora'
È la vita, è la vita!
Leader: Ka mate, ka mate
È la morte, È la morte!
Squadra: Ka ora Ka ora "
È la vita, è la vita!
Tutti: Tēnei te tangata pūhuruhuru
Questo è l'uomo dai lunghi capelli

Nāna i tiki mai whakawhiti te rā
...è colui che ha fatto splendere il sole su di me!

A Upane! Ka Upane!
Ancora uno scalino, ancora uno scalino,

Upane Kaupane"
un altro fino in alto,

Whiti te rā,!
IL SOLE SPLENDE!

Hī!
Risata!

lunedì 7 novembre 2011

La vita che vorrei

La vita che vorrei..
Vorrei avere una famiglia, una casa dove vivere e magari anche un cagnolino che riposa sulle mie ginocchia, vorrei sedermi intorno al tavolo con la televisione spenta per cenare tutti assieme e raccontarci la nostra giornata, mi piacerebbe che tra noi si usassero sempre toni pacati e che tutti ci trattassimo con rispetto e dolcezza, tanta dolcezza. Vorrei avere una moglie e dei figli sani e felici senza grilli nella testa che non si droghino non fumino e non bevano se non in modo occasionale. Vorrei che almeno un giorno alla settimana, quando e se possibile, fosse dedicato a noi quattro facendo qualcosa di divertente insieme. Vorrei avere delle ferie da passare con la mia famiglia facendo qualche viaggetto e rilassandoci tutti assieme. Vorrei poter fare qualcosa anche per gli altri, dedicare una fettina del mio tempo ad aiutare il prossimo. Vorrei vedere un mondo ed una società consapevole, più giusta e più equa. Vorrei un giorno andare a votare senza sapere chi è davvero il migliore, invece di ritrovarmi col dubbio se non votare o decidere chi rappresenta il male minore. Vorrei che i miei figli avessero degli ideali, sia politici che religiosi, tanto da rendersi conto che i veri valori non sono il denaro, il successo od il potere ma sono quelli che ci permettono di vivere sereni e di far vivere sereni gli altri. Vorrei che passassero il tempo giudicando se stessi e non gli altri e che alla fine si capissero si giustificassero e si amassero perché questo è il primo passo per fare altrettanto con il prossimo. Vorrei avere amici da amare e con i quali passare un po’ di tempo semplicemente e serenamente insieme, vorrei avere una squadra da amare ed andare allo stadio per tifarla, magari insieme alla mia famiglia ed ai miei amici. Vorrei essere magro per poter fare un po’ di attività fisica, giocare una partitella di calcio ogni tanto, godermi l’estate non vedendo l’ora di correre al mare per mettermi in costume e tuffarmi e nuotare… nuotare.. nuotare. Vorrei fare un lavoro che mi piace dove potermi gestire i miei spazi ed il mio tempo e immaginare una vecchiaia serena e senza paure. Vorrei nella prossima vita poter riabbracciare tutte le persone care che se ne sono andate anche se dentro al mio cuore non credo questo sia possibile, almeno in questa forma. Vorrei invece essere convinto del contrario,credere in una vita dopo la morte dove conservare la mia coscienza e davvero poter incontrare tutti i miei cari.
Tante di queste cose già le ho e sono tra le più importanti, altre dipendono anche,solo od in parte da me, vorrei tanto avere la forza per farle succedere o almeno tentare.

martedì 11 ottobre 2011

Banalità carine

Nelle fiabe non si insegna ai bambini che esistono i draghi, quello lo sanno già... Si insegna ai bambini che i draghi si possono sconfiggere. Ed è quello che fanno scrittori come Saviano. Non dicono che la mafia c'è, ma dicono che la mafia può essere sconfitta - Roberto Benigni

venerdì 7 ottobre 2011

Secondo le credenze pellerossa, il Grande Spirito sarebbe vicino alla gente, oltre che il creatore di ogni cosa sul mondo materiale, e regnerebbe in un Paradiso chiamato Happy Hunting World.
Il capo Dan Evehema, guida spirituale degli Hopi, così descrisse il Grande Spirito:
"Per gli Hopi, il Grande Spirito è onnipotente. Egli ci ha insegnato come vivere, lavorare, dove andare e cosa mangiare; ci ha dato semi da piantare e coltivare. Ci ha dato una serie di tavole di pietra, nelle quali soffiò tutti i suoi insegnamenti, al fine di salvaguardare la sua terra e la vita. In quelle tavolette vi erano incisi istruzioni, profezie ed ammonimenti" Scopiazzato da wikipedia.................

martedì 27 settembre 2011

dal libro "Walden ovvero vita nei boschi" di Henry David Thoreau

La natura era qualcosa di selvaggio e terribile benché bellissimo. Guardavo con soggezione la terra che calpestavo per vedere cosa avessero compiuto le Forze - la forma, il modo, il materiale della loro opera. Questa era la terra di cui sentiamo parlare, creata dal caos nella notte dei tempi. Qui non c'erano giardini ma il globo incontaminato. Niente prati né pascoli né coltivazioni né boschi né terre arabili né incolte né desolate. Era la superficie fresca e naturale del pianeta Terra, com'era stata creata per I secoli dei secoli - come dimora dell'uomo, diciamo noi-, così la Natura l'ha fatta e che l'uomo la usi se può.....

mercoledì 21 settembre 2011

Walden: Non l'amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia... datemi solo la Verità.

Il mio canto libero di Lucio Battisti (di Mogol - Lucio Battisti)

In un mondo che
non ci vuole piu'
il mio canto libero
sei tu
e l'immensita'
si apre intorno a noi
al di la del limite
degli occhi tuoi
nasce il sentimento
nasce in mezzo al pianto
e s'innalza altissimo
e va
e vola sulle accuse della gente
a tutti i suoi retaggi indifferente
sorretto da un'anelito d'amore
di vero amore
in un mondo che
prigioniero e'
respiriamo liberi
io e te
e la verita'
si offre nuda a noi
e limpida e' l'immagine
ormai
nuove sensazioni
giovani emozioni
si esprimono purissime
in noi
la veste dei fantasmi del passato
cadendo lascia il quadro immacolato
e s'alza un vento tiepido d'amore
di vero amore e riscopro te
dolce compagna che
non sai domandare ma sai
che ovunque andrai
al fianco tuo mi avrai
se tu lo vuoi

in un mondo che
prigioniero e'
respiriamo liberi
io e te
e la verita'
si offre nuda a noi
e limpida e' l'immagine
ormai
nuove sensazioni
giovani emozioni
si esprimono purissime
in noi
la veste dei fantasmi del passato
cadendo lascia il quadro immacolato
e s'alza un vento tiepido d'amore
di vero amore e riscopro te

sabato 10 settembre 2011

Quando ci si affanna a cercare apposta l’occasione pur di infilare la fede nei discorsi, si mostra d’averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita e non invece ‹modo› di vivere e di pensare.
Da Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana

domenica 7 agosto 2011

"La ballata delle donne"  

 Di Edoardo Sanguineti

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

martedì 2 agosto 2011

Caro Ale
Non lo so se leggerai questo che ti scrivo, non so se di tanto in tanto passi quà per scrutare dentro me.
Ti ho pensato tanto in questi giorni. Se non ti va di fare gli esami non li fare se ti va di interrompere gli studi interrompili me ne farò una ragione, del resto è innegabile che la vita mi ha mostrato punto per punto e momento per momento quanto ogni mia convinzione e opinione fosse sempre sbagliata, tanto da farmi nascere l'idea che qualcuno seriamente interessato a perseguire il successo , avrebbe potuto semplicemente chiedermi una serie di  consigli e poi fare sempre il contario di quello da me suggerito :-)
Se vuoi tornare, torna sereno se vuoi rimanere li, rimanici sereno.
Ma datti delle regole, datti dei ritmi e rispettali,individua un obbiettivo e vagli incontro qualunque esso sia,vuoi seguire il tuo istinto? fallo! ma non rimanere fermo alternando sonno e anzie..anzie e sonno.
Un bacio tenero
p.

venerdì 29 luglio 2011

il 30 Luglio mia mamma avrebbe fatto 72 anni

Incredibile come certi momenti e certe date rimangono scolpiti nella memoria
Me lo ricordo benissimo quel giorno, Luciana nervosa  seduta su di una sedia di cuoio marrone, tra lei ed il medico lo spazio di una scrivania, con appoggiata sopra uno schermo dalla luce fredda e tremolante una lastra. Io le stavo accanto in piedi, appoggiato ad una parete senza nemmeno il coraggio di avere paura.
I suoi occhi espressivi, grandi e castani dicevano tutto..... era terrorizzata.
Attraverso il frenetico movimento delle pupille si poteva immaginare il cervello procurando disperatamente una via di uscita senza però poterne incontrare nessuna.
Dentro di me già conoscevo la risposta, la sensazione che avvertii fu come di un masso cadendo in uno stagno.
Lei finse di essere forte, sospirò profondamente, i muscoli della faccia le guizzavano nervosi sotto la pelle e mordendosi il labbro inferiore chiese al medico di dirle tutta la verità garantendogli che era pronta ad ogni lotta e ad ogni verdetto.
Ma invece non era per niente pronta.
Era il 13 Settembre, 2000, il 21  Novembre dello stesso anno sarebbe morta.
Sessantanove giorni quasi tutti pesanti e tristi.
Io mi terrorizzai molte volte, lasciai il mio egoismo e la mia rabbia prendere il sopravvento ferendola più di una volta, facendo diventare il mio dolore protagonista di quel dramma. Il mio al posto del suo, non era Luciana che doveva passare quel calvario! Ma era la MIA mamma.
Luciana a 61 anni era una donna giovane, piena di vita, sempre pronta ad accorrere in aiuto di chiunque avesse bisogno, chiaramente ancor di più a noi che eravamo suoi figli, per banale od egoista che fosse la richiesta. Chi l'ha conosciuta bene sa che non sono gli elogi riservati a chi muore ma la pura e cristallina verità. Luciana oltre ad una meravigliosa mamma era una grande amica, sincera e divertente.

Ma non era pronta a morire, non ancora! In quei 69 giorni lo ripetette continuamente : ”  non posso morire adesso” Sosteneva, parlando con Dio che le 11 volte che era stata sotto i ferri erano già abbastanza e che non si sentiva di dover pagare più nulla al destino per accettare per l'ennesima volta di sottomettersi ad ospedali, esami, medicine ed al dolore.....ma si ingannava.
Quei 4 pacchetti di sigarette al giorno che fumava da decenni non gli lasciarono scampo.
Sempre fu molto spirituale e cristiana ma in quel momento perse la Fede. La paura le oscurò l'intelligenza e si abbandonò alla vuota religiosità della speranza nel miracolo invece di procurare serenità attraverso l'accettazione degli eventi che stanno aldilà della nostra capacità di capire le tristi ed inevitabili regole che fanno parte del disegno logico e necessario dell'amore Creatore.
A quell'epoca vivevamo in Brasile appena ci fu comunicato che la medicina ufficiale non ci forniva nessuna possibilità di cura persi e disperati cercammo qualunque strada che prevedesse speranza e cosi fummo attratti dalla medicina alternativa, in particolare dalla cura Di Bella tanto di moda in quei mesi in Italia, imbarcammo il 15 di Ottobre al aeroporto di Florianopolis destinazione Roma, fu un viaggio terribile, Luciana ormai in stato terminale soffriva di attacchi di apnea, uno dei polmoni stava completamente atrofizzato e l'altro già sotto attacco di metastasi, ma l'equipaggio della AirFrance, nonostante da me avvisato, non mostrò nessuna compassione e ci trattarono freddamente, come se la presenza di una persona sofferente creasse solo fastidio.
Fu solo l'inizio di una inesorabile serie di giorni pieni di emicranie terribili, depressioni, apnee, vomito costante e la progressiva perdita del controllo degli sfinteri.
Può sembrare un  dettaglio ma avendola conosciuta cosi pudica e gelosa delle proprie intimità, ci causò ancor più sofferenza vederla imbarazzata e timida per farsela letteralmente sotto.
Non posso scordarmi il giorno che al bagno seduta sulla tazza (aveva terrore di rimanere da sola , anche un secondo) mi chiese di sostenerle la testa perché si sentiva svenire...ed io arrabbiato le risposi che doveva smetterla di far finta di sentirsi cosi male e che era arrivato il momento che reagisse! Lei mi giurava che non faceva finta ..ma io non le credetti. Vorrei tanto poter tornare indietro nel tempo fino a quel giorno, le correrei incontro appoggerei la mia fronte alla sua e le sussurerei solo frasi piene di amore, con tenerezza gli accarezzerei i capelli e la coprirei di baci...ma il tempo corre solo in una direzione e quel che fu fatto non si può cancellare. La vergogna per il mio comportamento ancora mi accompagna, l'amavo più di qualunque cosa al mondo eppure mi comportai in questo modo. La cosa peggiore è che le persone che ci stavano intorno elogiavano la mia presenza costante accanto a Luciana, senza immaginare che cosi non facevano che aumentare i miei sensi di colpa.
Mori una settimana esatta dopo ed io tornai a testa bassa in Brasile il giorno dopo il funerale.
Quando entrai da solo nell'aereo, sempre della AirFrance , mi sentii la persona più sconfitta del mondo e piansi come mai avevo e fino ad oggi avrei mai più fatto .

giovedì 14 luglio 2011

Albatroz nel suo blog scrive

............Forse si scrive di qualsiasi cosa per ritrovarsi. Perché si ha un animo generoso e si vuole condividere un pensiero, che forse, sarà utile a qualche altro che si sentirà sollevato all’idea di non essere solo. Come quando un amico si racconta e ti riconosci in lui, e allora la conversazione si anima e le parole escono come un fiume in piena, e le cose da dire diventano cosi tante, che una sera intera non basta per raccontarle tutte.  

sabato 9 luglio 2011

Rubata dal sito di Paulo Brabo e da me indecentemente tradotta

In Matteo 13:44-46 sta scritto che Gesù cosi descriveva il Regno dei Celi
:
Il tesoro nascosto
Fl 3:7-11; Eb 11:24-26
44 «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e, per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che possiede, e compra quel campo.
La perla di gran valore
45 «Il regno dei cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; 46 e, trovata una perla di gran valore, se n'è andato, ha venduto tutto quello che aveva, e l'ha comperata.


Quando leggo questa parabola spesso mi torna in mente un ragazzo che ebbi la fortuna di conoscere.
La sua “perla di inestimabile valore” era una miscela di cocaina ed eroina. E per essa rinunciò a tutto il resto,  salute, famiglia , un tetto per dormire e tutti i suoi averi, fino a non rimanere con altro che i vestiti che indossava e una chitarra. E come amava quella chitarra: non perdeva occasione per dire a tutti che quella chitarra era la sua anima. Ma un giorno impegnò la chitarra: “mi impegnai l’anima”
Con i soli vestiti che indossava e i pochi soldi ricavati l’unica cosa che riuscì a comprare fu una “virgola” di eroina (un decimo di grammo, appena sufficiente per un unico sballo)
Avendo cosi  venduto l’anima, questa virgola era diventata la sua perla di inestimabile valore.

Ed è qui che termina la parabola, ma non la storia del mio amico dove succede qualcosa di incredibile. Appena ricevuto l'eroina entra in un vicoletto per spararsela, ma li si imbatte  con un altro suo amico anche lui drogato ma senza soldi e senza nulla di valore da potersi vendere.
E cosa fa il mio amico con la sua “ perla “? Lui la condivide. Lui divide il tesoro per il quale aveva sacrificato tutto per donarne la metà al suo amico, senza avere nessuna speranza di restituzione.
Lì in quel malfamato vicoletto nella zona est del centro di Vancouver, il mio amico si cimentò in un atto superiore in proporzione a qualunque altro atto di generosità e sacrificio al quale io abbia mai personalmente assistito, sia da parte di cristiani o di chiunque altro. Pensate quello che vi pare a rispetto della droga e dei drogati, ma il valore che quella perla rappresentava per il mio amico e la grandezza del suo sacrificio superano di gran lunga qualunque atto di bontà che io abbia mai praticato. E la verità è che il comportamento del mio amico non è un eccezione. In comunità di tossicodipendenti o di persone molto povere non è raro un comportamento mutuo basato nella pura Grazia, attraverso la quale si dà senza aspettarsi di ricevere nulla in cambio.

Daniel Oudshoorn
Poser or Prophet

domenica 3 luglio 2011

il mio dolore

____________________

C'è un dolore che non scordo
e che di tanto in tanto inaspettato sboccia e  tutto incrina,
i petali di cuoio che gli ho cucito sopra si dissolvono .
E' un dolore strano, duole ma consola brucia ma rende sensibili .
Strana la vita,

ci sfugge
come la coda al cane che se la rincorre. 

A Bacia das Almas | O valor da pérola e o preço da graça

Link to A Bacia das Almas

Posted: 01 Jul 2011 09:36 AM PDT
Em Mateus 13:44-46 está registrado que Jesus assim descreveu o reino do céu:
O Reino dos céus é como um tesouro escondido num campo. Certo homem, tendo-o encontrado, escondeu-o de novo e, então, cheio de alegria, foi, vendeu tudo o que tinha e comprou aquele campo. O Reino dos céus também é como um negociante que procura pérolas preciosas. Encontrando uma pérola de grande valor, foi, vendeu tudo o que tinha e a comprou.
[...] Quando leio essas parábolas penso com frequência num jovem que tive o privilégio de conhecer. Sua “pérola de grande valor” era uma mistura de cocaína e heroína. Por isso ele sacrificou todo o resto – sua saúde, sua família, um teto e um lugar para dormir, todas as suas possessões mundanas, – até não ter nada além da roupa do corpo e um violão. Ele amava aquele violão: viva dizendo que era a sua alma. Mas um dia penhorou o violão: “penhorei a alma”.
Tendo só a roupa do corpo e o dinheiro que recebeu pelo violão, tudo que ele conseguiu comprar foi uma “vírgula” de heroína (um décimo de grama, apenas o suficiente para deixá-lo alto uma única vez). Tendo vendido finalmente sua “alma”, essa era sua pérola de grande valor.
É aqui que a parábola termina, mas na continuação da história do meu amigo algo inacreditável acontece. Tendo descolado a sua heroína ele entra num beco para transar a droga, e ali depara-se com outro amigo que também é usuário de heroína mas não tem dinheiro, nem drogas, nem nada valioso para vender. O que faz meu amigo com sua pérola? Ele a compartilha. Ele a divide – o tesouro pelo qual sacrificou todo o resto – e dá metade a seu amigo, sem qualquer esperança de retribuição. Ali, num beco da zona leste do centro de Vancouver, meu amigo engajou-se num ato de generosidade e de sacrifício pessoal superior em escala a qualquer outro ato de generosidade ou sacrifício pessoal que eu jamais tenha visto praticado – quer por parte de cristãos ou de quaisquer outros. Pense o que quiser sobre o uso de drogas: o valor da pérola para meu amigo e a extensão de seu sacrifício suplantam em muito qualquer outro ato de bondade jamais praticado por mim.
E a verdade é que a atitude de meu amigo não é exceção. Em comunidades de usuários de drogas e outras comunidades de gente pobre não é incomum uma estirpe de economia fundamentada na graça, em que se dá sem se esperar receber de volta.
Daniel Oudshoorn
Poser or Prophet

giovedì 30 giugno 2011

Rino Sgarra e la "Tela di S.Teresa"

Volto di S.Teresa del Bernini
Qualche mese fa sono andato al Cinema a vedere l'ultimo Film di Checco Zalone: "Che Bella Giornata". Gran parte del Film si svolge  intorno ed all'interno del Duomo di Milano ed annessa Pinacoteca; uno dei protagonisti del Film è un quadro raffigurante l'estasi di Santa Teresa. Ieri mi sono ricordato di questa tela che mi aveva colpito ed ho cominciato incuriosito a fare una ricerca in rete per scoprirne autore e storia, immaginando che fosse davvero una tela dipinta nel 600 ed esposta nella Pinacoteca Reale, invece ho scoperto che detta tela è opera di Rino Sgarra, pittore coratino contemporaneo che l' ha dipinta  appositamente per questo film, scoprendo poi che il volto è stato ispirato dalla scultura del Bernini e il corpo da un dipinto dello "Spagnoletto" e che il quadro è stato dipinto in un solo mese utilizzando tela e lavorazioni tipiche del 600.
Ho trovato il tutto veramente interessante.

giovedì 23 giugno 2011

Il  novantanove percento (99%)delle volte che scrivo qui, sono triste, malinconico, preoccupato od arrabbiato.
Oggi no! dopo un po di tempo sono finalmente allegro e ottimista. Scorgo davanti a me tante possibili strade, percorsi ed opportunità e questo mi sta facendo tornare la voglia di osare.Questo cambiamento di stato d'animo non dipende da me e dalle mie capacità ma da una serie di condizioni che sono cambiate attorno a me. Quando siete tristi preoccupati ed angosciati non scordatevi mai che la soluzione può arrivare anche senza il vostro intervento, siamo immersi in variabili infinite che spesso ci portano dove decidono loro.
La vita è un po come scendere un torrente in piena su di un gommone, noi dobbiamo impegnarci a rimanere a galla ma la direzione la decide la corrente non noi. Quindi animi leggeri e senso d'avventura!!!
Oggi per me è cosi domani magari no :-)!!
Bacioni felici a tutti quanti

giovedì 16 giugno 2011

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Blogger Albatros ha detto...

Il non essere superficiali, l'avere un senso critico , non sono colpe, anzi: le reputo qualità necessarie perchè una persona sia interessante e non scontata. Anche io mi sento solitario nelle mie "esplorazioni". Forse perchè un poco lo sono, ma credo di più, perchè le persone simili a me, non si fanno notare troppo, sono discrete.

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martedì 14 giugno 2011

Fedele è una persona che conosci da sempre, siete nati vicini di casa, fate il tifo per la stessa squadra, avete frequentato le stesse scuole e la stessa chiesa, chiunque gli chieda chi sia il suo migliore amico fa sempre il tuo nome, ti telefona tutti i giorni e ti invita sempre ad andare allo stadio assieme od a mangiarsi una pizza, dicendoti ad ogni occasione quanto ti vuole bene.

Un giorno tuo figlio è malato, ha la febbre altissima mentre preoccupatissimo aspetti ansioso che tua moglie torni dal lavoro per andare di corsa a comprare una medicina per abbassargli la febbre, suona il telefono, è lui che ti chiede come stai, gli spieghi la situazione e gli chiedi se può andare a comprati lui la medicina e portartela, ti spiega che purtroppo è appena tornato dal lavoro e sta già in pantofole e che tra 10 minuti comincia la partita di coppa…..gli dispiace tantissimo ma ti dice di non preoccuparti, tanto sono febbri passeggere che tutti i bambini hanno e ti consiglia di raffreddarlo con una pezza bagnata.

Pochi mesi dopo perdi il lavoro, la ditta dove lavoravi è fallita, lui come al solito ti telefona, sai che nella sua azienda serve manodopera gli racconti che sei disperato e gli chiedi aiuto , se ti puo dare una mano offrendoti un impiego, ti risponde che tu sei troppo qualificato per lavorare per lui e che poi mischiare lavoro e amicizia rovinerebbe il rapporto, prima di abbassare il telefono dice che tanto tu sei in gamba , sei un guerriero e ne uscirai a testa alta più forte di prima, forza e coraggio!.

Mohamed vive dall’ altra parte della strada con la sua famiglia, sono un po’ rumorosi e l’odore del cibo che preparano ti ha sempre disturbato a malapena vi scambiate un saluto ogni tanto, un giorno mentre esce di casa osserva il tuo viso preoccupato mentre stai sull’uscio della porta aspettando tua moglie tornare dal lavoro, ti domanda che succede e tu gli spieghi della febbre di tuo figlio, prontamente si offre per correre in farmacia a comprartelo lui e cosi fa, dopo pochi minuti sta con le medicine in mano suonando alla tua porta.

Quando giorni dopo gli racconti dei tuoi problemi di lavoro ti dice che se non ti fai problemi lui ha una piccola impresa edile e che se vuoi e non ti offendi puoi cominciare anche da domani stesso.

Chi è tuo amico?

Colui che parla e attesta il suo amore per te o colui che senza parlare agisce e si importa con te?

domenica 12 giugno 2011

Dio è Dubbio, la Fede che ci regala certezze è superstizione.
Amare Dio è imprescindibile dall'amare se stessi e dall'amare gli altri in quanto questi sono i riflessi fedeli della nostra incoerenza e diversità, quando questa equazione si rompe nasce il fanatismo con tutta la sua eredità di sangue, atrocità e dolori.
Dobbiamo accettare che determinare l'esistenza o meno di Dio non ha nulla a che vedere con l'Amore che Lui ha verso di noi e che noi dobbiamo avere verso di Lui, Dio non è una persona, un Essere od una cosa che esiste o non esiste, Dio è La semplice ragione suprema, Dio è l'Unica banale risposta plausibile, Dio è il Supremo perchè, Dio è il quando ed il dove.
Dio non sta nei libri, non stà nelle chiese e nei templi.
Dio sta dento e fuori le sensazioni e dentro e fuori i sentimenti e per questo, fino a quando esisterà vita o materia, Lui è Onnipotente e Onnipresente.
Lo scorgiamo in un gesto ma lo perdiamo nell'opulenza di una rinascimentale cappella affrescata.
Lo assaporiamo nella salinità di una lacrima e lo perdiamo nelle cifre di una milionaria beneficienza.
Ci sfugge quando lo rincorriamo e ci scova quando lo fuggiamo.

sabato 11 giugno 2011

Battisti non Lucio

Il mondo è strano o forse lo sono io? la guerra a pochi chilometri dalle nostre coste, bombardamenti , civili che muoiono e scappano terrorizzati... gli interessi economici che bombano...e noi a scandalizzarci tanto per un coglione che ha ammazzato 4 persone e dopo quasi 40 anni di esilio, galera, evasioni e fughe viene liberato... apriti cielo...
Tanto e sincero rispetto da parte mia per i parenti delle vittime per il loro dolore e diritto a chiedere giustizia, loro sono gli unici ad avere diritto a reclamare e ad indignarsi, ma tutti gli altri, Napolitano in testa, dovrebbero farsi un un bell' esame di coscenza.
Gli omicidi per i quali è stato condannato sono stati commessi quando aveva 23 e 24 anni, la condanna è stata possibile grazie alla testimonianza di un pentito che grazie a queste confessioni ha ottenuto un notevole sconto di pena, reati commessi in un periodo storico molto particolare, e quello che oggi sembra scontato e indiscutibile non era cosi chiaro e lampante allora.
Chi quegli anni li ha vissuti in prima persona ed ha in qualunque modo partecipato alle lotte politiche di quegli anni lo sa bene.
Lo stesso Napolitano per esempio non dobrebbe scordarsi di essere stato uno di quelli che ha approvato l'invasione Sovietica dell'Ungheria o Alemanno di aver bruciato la bandiera Americana a Nettuno e di essere stato uno che menava le mani molto volentieri fino a poco piu di 20 anni fa e cosi via.
Qui di seguto posto un articolo che mi sembra trattare questo problema seriamente e umanamente. Lo ha scritto colui che per primo all'interno di un carcere ha parlato dell' ideologia rivoluzionaria a Battisti e lo ha fatto diventare un terrorista, Arrigo Cavallina.
La mia opinione è che Arrigo , per quanto possa sembrare assurdo, è rimasto coerete con le sue idee continuando a perseguire l'ideale di giustizia che portava dentro al suo cuore rivalutando passo passo la situazione e accettando di riconoscere di essersi sbagliato anche gravemente. Da cattolico a terrorista poi la dissociazione con le sue conseguenze, il carcere, l'impegno civile e la Fede testimoniano la sua voglia di tornare ad essere un giusto.

«QUELLO CHE PENSO DI CESARE BATTISTI»


di Arrigo Cavallina, da Studi cattolici n. 578, aprile 2009


Molto si è detto e molto si è scritto nei mesi scorsi a proposito della richiesta di estradizione del terrorista Cesare Battisti (foto sotto), inoltrata dalle autorità italiane alle tergiversanti autorità brasiliane. Nel rievocare il curriculum di Battisti – condannato all’ergasto per quattro omicidi, latitante in Francia, in Messico e in Brasile dove è stato arrestato il 18 marzo 2007 – è stato fatto spesso il nome di Arrigo Cavallina, fondatore dei Pac (Proletari armati per il comunismo), che conobbe Battisti in carcere a Udine nel 1977. Battisti aveva allora 23 anni ed era stato arrestato per reati comuni e da Cavallina ricevette l’iniziazione ideologica. Il percorso di Arrigo Cavallina, che i nostri lettori ben conoscono, è stato illustrato da lui stesso nel volume La piccola tenda d’azzurro (Edizioni Ares): Cavallina è stato uno dei protagonisti della «dissociazione politica dal terrorismo» e, dopo aver interamente scontato la pena, tuttora si dedica ad attività di volontariato, avendo anche ritrovato la fede. In queste pagine l’ex «cattivo maestro» spiega il suo atteggiamento verso Cesare Battisti, andando oltre il caso specifico per prendere posizione sulla giustizia retributiva e sulla giustizia riparativa.


Trent’anni fa, nel corso di uno sciagurato 1978, la banda Pac (e già il nome associa il grottesco di proletari e comunismo alla tragedia di armati) ha compiuto reati gravissimi. E io mi porto addosso tutta la responsabilità di averla, con altri, fondata e di averne condiviso le azioni fino a quando me ne sono separato. Responsabilità riconosciuta in regolari processi, in sentenze definitive e in una pena interamente scontata.
Mi verrebbe da dire: «E adesso basta, lasciate a me decidere se e quando raccontare e ragionare su quegli anni, sulle mie vicende interiori ed esterne che ne sono seguite, sulle attività che sto svolgendo».
Invece ogni tanto appare un fantasma che probabilmente non ha nessuna intenzione di inseguirmi, ma ha la caratteristica di scatenare drappelli di giornalisti a parlare di me per l’ennesima volta (dicendo sempre le stesse cose, già scritte in sentenze o da me in libri e vecchie interviste) e a chiedermi sempre le stesse cose.
Questo fantasma che periodicamente riemerge dal passato si chiama Cesare Battisti.
Di suo, era un delinquente di non grande calibro. Con me ha creduto di diventare anche politico, nella banda che ha commesso quattro omicidi; e una sentenza passata in giudicato attribuisce a lui, a diverso titolo, la partecipazione a tutti e quattro, condannandolo all’ergastolo.

L'incubo & le sbarre

La nostra amicizia si è incrinata quando l’ho visto cambiare carattere e comportamenti, quasi rifugiandosi dietro a una maschera, forse per reggere ai traumi di quello che stavamo facendo, e anche per l’influsso di nuovi entrati o simpatizzanti del gruppo.
Ci siamo rivisti in carcere, per brevi periodi, tra il 1980 e il 1981, anno della sua evasione. Ho riguardato le poche frasi della mia corrispondenza in cui parlo di lui, come di un’affinità ritrovata, e le accosto al preciso ricordo di una persona come me già in netta critica e disaccordo con le scelte precedenti, costretto a convivere in un carcere speciale con altri «combattenti irriducibili», ironico nei loro riguardi e molto preoccupato di non far emergere la sua diversità per paura delle loro aggressioni. Paura che conosco bene e che ha creato anche a noi, già pubblicamente «dissociati», forti tensioni, fino a quando a Rebibbia non siamo stati separati in un’apposita «area omogenea».
Nel 1981 ho accolto con sollievo e a conferma di quanto avevo intuito la notizia che Cesare, che pure era stato fatto evadere da un gruppo di Prima Linea, non era rimasto con questi ultimi fuochi combattenti ma aveva preferito scappare all’estero.
Ricordo quante volte ho sognato anch’io di essere un latitante ricercato, sogni di angoscia insopportabile, in cui ogni gesto poteva tradirmi, ogni persona essere un agente che mi inseguiva e arrestava, tutta la vita ridotta a continua fuga e spavento. E quando mi svegliavo col cuore impazzito in gola e vedevo la finestra con le sbarre sospiravo di sollievo, meno male, meglio questa desolata sicurezza di quell’incubo.
Stare dentro il carcere e dentro i processi era anche stare dentro le conseguenze del mio passato, assumerne interamente la responsabilità, ricostruirmi un’identità capace di risalire fino alle domande legittime alle quali ho dato risposte illegittime e devastanti, capace anche di dare un senso alla vita che mi aspettava, alla pena, alle nuove relazioni.
Voleva anche dire decidere un comportamento processuale non sul calcolo probabilistico di evitare le condanne, ma su un impegno di verità (finalmente, e liberatorio dopo tanto sgusciare), un altro modo per non sentirmi ancora come un latitante in fuga costretto a ingannare le persone che mi stavano aiutando, con fiducia, nella fatica della rielaborazione.
Tutt’altro, mi sembra di capire, era il percorso dei rifugiati all’estero, in particolare in Francia dov’erano più numerosi. Per loro la percezione delle responsabilità sembrava attenuarsi rispetto all’esigenza primaria di non essere estradati, quindi di mostrarsi ingiustamente perseguitati da uno Stato del quale si era, e si continuava così a essere, oppositori politici. E forse a calarsi con tanta insistenza in un ruolo, si finisce per convincersene e ad assumerlo come propria identità.
Non voglio generalizzare, quando la nostra rivolta violenta è sembrata diffondersi e costituire un pericolo, la difesa istituzionale non è rimasta sempre negli argini delle garanzie democratiche. Ricordo bene il regime delle carceri speciali, gli aumenti nella custodia preventiva e nelle pene, istruttorie fabbricate nel disprezzo delle procedure, singoli episodi di indubbia tortura, di «collaboratori» imboccati e di valore probatorio attribuito loro senza riscontri, e ancora ombre inquietanti e mai dissolte su alcuni fatti gravi. Ma devo anche ammettere che, nelle molte storie processuali che conosco, attraverso i vari gradi di giudizio e il tempo trascorso e il clima complessivo meno esasperato, si è generalmente raggiunto un equilibrio o almeno una normalità negli esiti conclusivi.
Ora, la domanda apparentemente centrale che nessuna intervista mi risparmia è se Battisti ha commesso davvero quei reati. E io devo ripetere, costatando la poco professionale delusione del giornalista, che poteva ben aspettarselo, che non intendo rispondere. E spiego i motivi.
Prima di tutto, quello che potrei dire oggi sarebbe assolutamente irrilevante. C’è una sentenza passata in giudicato che stabilisce la «verità processuale», la sola che conta nella richiesta d’estradizione ed eventualmente la sola che può essere contestata nei suoi meccanismi interni di formazione, non certo attribuendo valore di nuova prova alle chiacchiere che chiunque può raccontare a un giornalista.

La scelta della dissociazione

C’è poi la scelta di dissociazione, che abbiamo sempre ribadito pubblicamente e in processo, in base alla quale tutto il nostro impegno è rivolto a evitare che vengano commessi altri reati e a ricostruire ognuno le proprie responsabilità di rilievo penale nel contesto necessario a capire perché è avvenuto quello che non avrebbe dovuto avvenire. Nessun limite, dunque, a denunciare altre persone se questo poteva servire a interrompere la preparazione o la continuazione di un reato. Ma quando il solo effetto della dichiarazione sarebbe di incidere sulla determinazione delle pene riguardanti altre persone (e, peggio, ottenendo in cambio una riduzione della pena per sé), allora lasciamo all’altro la responsabilità delle sue decisioni e delle conseguenze processuali.
Solo in quanto non marchiati dall’accusa di essere «delatori», tra gli ex compagni nel guado tra prosecuzione e abbandono della lotta armata, abbiamo potuto dare un contributo rilevante a disgregare culturalmente dal suo interno quel fenomeno che conoscevamo bene perché ne eravamo stati parte. E se per qualche tempo alcuni magistrati hanno negato dignità alla nostra scelta, considerandola alla stregua di «una furbata», la sua efficacia è stata invece riconosciuta dalla maggior parte dei giudici, dall’amministrazione penitenziaria e infine dal legislatore.
C’è un’altra ragione ancora che ci impedisce di interferire nei rapporti processuali che non ci riguardano direttamente. Consideriamo primaria l’esigenza preventiva di interrompere una pericolosità in atto, condividiamo la necessità che dall’accertata commissione di reati derivi un intervento penale anche di grande peso sui colpevoli; ma le finalità e i modi concreti di esecuzione della pena spesso non corrispondono a quanto riteniamo sia bene per la comunità offesa, per le vittime dei reati, per gli autori e per la ricostruzione di relazioni responsabilizzanti e riparative. Ci sarebbe dunque il rischio che le nostre dichiarazioni su altri imputati non producano il bene che vorremmo, ma vadano a supportare un’applicazione prevalentemente retributivo-vendicativa della pena, aggiungendo un male sterile al male fatto.
Ricordo che ci siamo interrogati a lungo, consapevoli della piena legittimità e giustizia dell’intervento punitivo nei nostri confronti, sul senso di una pena che ci costringeva semplicemente a stare chiusi, a non fare nulla malgrado le nostre diverse capacità e competenze. Ci sembrava uno spreco, un impedimento addirittura a rendersi utili, a riparare. Tutte le iniziative che abbiamo comunque attuato dentro il carcere non erano pretese dalla specie di pena, ma dovute all’incontro fortunato di buone volontà del personale penitenziario locale, della comunità circostante e di noi stessi.
Tanto che, in occasione della discussione sulla legge quadro del volontariato, abbiamo proposto che, in situazione ragionevolmente accertata di non pericolosità, si potesse considerare un’attività volontaria di servizio come alternativa equivalente alla detenzione.
Ci siamo anche chiesti come sanare la posizione di quelle forse migliaia di latitanti all’estero, che avevano certamente chiuso col passato. Si poteva pretendere che spontaneamente venissero a costituirsi per condividere la nostra carcerazione per tempi lunghissimi, fino all’ergastolo? Allora, con una buona dose di utopia, abbiamo suggerito che venisse loro offerta almeno una possibilità di ricostruire un rapporto legittimo, come di pena espiata, con la giustizia italiana, mediante un prolungato servizio (ovviamente convenuto e verificato) all’estero presso qualche organizzazione non governativa internazionale.
Tutte ipotesi probabilmente in sé irrealistiche, che potrebbero essere meglio riformulate, ma che ricordo per dare un’idea di modalità diverse dall’automatica carcerazione retributiva. La grande domanda che ci si poneva in quegli anni, ma che dovrebbe essere sempre attuale, era: come avviare un percorso di riconciliazione?
Ci sono riusciti Paesi colpiti da tragedie ancora e molto più sanguinose delle nostre. Tenuto conto di tutte le differenze, qualcosa da loro potremmo imparare.

Dolore, giustizia, verità

Certo, gli atteggiamenti di Cesare Battisti, in ogni sua apparizione, non facilitano un ragionamento sereno. Mi dispiace molto riconoscerlo, ma si mostra proprio antipatico, arrogante; non capisco lo scopo di certe dichiarazioni che sembrano inutili, controproducenti, o messaggi oscuri come quelli sui servizi segreti francesi.
Scorrendo qualche sito internet, mi sono accorto dell’astio dei suoi amici nei miei riguardi. Ritornano interpretazioni distorte o falsificazioni, che circolavano in Francia nei loro ambienti, di mie vecchie interviste. Pensando di difenderlo, dicono sciocchezze.
Eppure non mi sento di sostenere: come mi sono fatto il carcere io, è giusto che se lo faccia anche lui. Mi chiedo se non ci sia qualcosa di guasto in una giustizia che costringe alla sola, secca alternativa tra la menzogna e l’ergastolo.
Ho ascoltato un giudice di grande umanità ipotizzare che se Cesare si presentasse con l’atteggiamento di chi riconosce le proprie responsabilità, ricostruisce i fatti, non contesta le sentenze, esprime una comprensione sincera per il dolore delle vittime, il suo ergastolo potrebbe, dopo tanti anni e cambiamenti dalla commissione dei reati, ridursi con l’applicazione di benefici intervenuti nel frattempo e aprirsi non troppo tardi alle misure alternative.
Potrebbe. Ma con quale garanzia? Nessuna. Potrebbe, altrettanto, essere destinato al «carcere duro», previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, in condizioni di deprivazione recentemente aggravate, con l’impossibilità di accesso a misure di progressiva attenuazione. Comunque l’ergastolo potrebbe restare ergastolo o una somma di decenni da assorbire in pratica quasi tutto il resto della vita.
Anche chi ha perso un familiare, anche chi è rimasto invalido è condannato a un dolore senza fine, nella vita. Ma non può essere questo il metro della pena. Come determinare un equivalente, un simmetrico della morte, o della sofferenza di una vittima, o dell’offesa sociale? Si rischia una rincorsa senza limite nel provocare altro male, si tornerebbe alla barbarie e ai supplizi.
Per quello che ho letto e sentito, le persone colpite con più violenza, negli affetti e nel corpo, dai delitti dei Pac, non hanno mai chiesto vendetta ma, molto civilmente, verità e giustizia. Non perché è ergastolo, ma perché è stabilito in sentenza, perché sia rispettata ed eseguita la sanzione decisa secondo le regole del nostro ordinamento. Perché sia affermata la riprovazione dei crimini, la responsabilità di chi li ha commessi e le conseguenze che devono derivarne.
Proprio nelle conseguenze, che sembrerebbero decise irreversibilmente, trovo un’incongruenza, un conflitto con l’esigenza di verità. Se la verità comporta l’estradizione e il carcere a vita, l’abbandono definitivo delle relazioni familiari, dei figli che restano per sempre senza padre, capisco anche il dibattersi in tutti i modi (magari controproducenti, antipatici) per evitarlo. Mi chiedo: è «giusto» che da una legittima pretesa di verità non possa derivare altro che questo male? Che non sia ipotizzabile un’altra specie di sanzione, anche dopo un tempo di carcere che non sia una distruzione, che rafforzi anche simbolicamente la riprovazione e che costringa a un progetto riparatorio duro, faticoso, ma ricostruttivo? Se potessi dire quello che è vero sapendo che non ci saranno ripercussioni tremende sui miei figli e sulle persone innocenti a me vicine, ma che la mia vita dovrà riorganizzarsi in funzione del debito che riconosco di aver contratto, allora forse questa «giustizia» può stimolare e incontrarsi con la soddisfazione dell’altro mio debito, quello del racconto di come e perché è stato fatto quello che non avrebbe dovuto, che oggi vorrei ardentemente che non fosse successo.
Non vorrei banalizzare, faccio l’esempio che segue solo per rendere più chiara una possibilità. Cesare Battisti è un affermato scrittore. Potrebbe ridurre all’osso il guadagno dei suoi diritti per mettere l’importo residuo a disposizione di un fondo a favore delle vittime.
Al di là dell’esempio banale ed evidentemente da riformulare, penso anche al valore educativo di attività o contributi prolungati nel tempo, per non dimenticare il dolore invece di seppellirlo, con chi l’ha provocato, nel silenzio di una cella. Mi chiedo chi resterebbe danneggiato da una giustizia di riparazione.

Arrigo Cavallina

venerdì 29 aprile 2011

Un padre ha tre figli che ama , uno passa la giornata ad elogiarlo a dirgli quanto lo ama e a trattarlo con rispetto,un altro è malato vive in un letto e ha bisogno di tutto, il terzo dedica la giornata ad aiutare il fratello malato.
Quale tra questi tre è di piu conforto al padre?
Il primo che lo onora e glorifica?
Il secondo che soffre e ha bisogno di aiuto?
Il terzo che dedica la sua vita ad aiutare il bisognoso?

mercoledì 2 marzo 2011

giornata storta

Mondo mondo del cazzo

Mondo che osservo e che non capisco

Eppure mi sforzo!

Cerco ragione e pure il Signore

in un raggio di sole, una brezza, un sorriso

un ricordo lontano, un errore condiviso.

Mi invento amore, importanza e perdono

e casco...

Oh mondo del cazzo! eppur mi rialzo.

Alzo il masso alla ricerca del nesso

esco, affronto, faccio finta di niente,

mi scuso e mi incolpo

e sempre ricasco.

E' mondo, un mondo del cazzo.

Siamo noi uomini che lo roviniamo

le pose, le foto, le facce, la moda,

gossip, denaro, Corona ed il Mora

il mondo che "conta" non è altro che scoria.

non siam altro che feccia,

mediocri, altezzosi e pieni di spocchia,

le auto, le moto, i gadget di grido

Sto mondo del cazzo.

Dov’è il sentimento? L’amore condiviso?

L’ideale, l'esempio, la gioia nel cuore?

E ricasco ..oggi per me è un mondo del cazzo