domenica 27 dicembre 2009

Copenaghen

Fiamme nel cielo tra turbinii e tempeste
verso di grida strazianti e pensieri ombrosi
che come gocce di
arida sabbia
sgorgano dagli occhi e graffiano irritate gote.

Fumi di disciolti ghiacci
volteggiano negli atri di cuori infartati
colmi di melma
dove natura malata partorisce
scheletrici figli adornati di catrame tra piume.
Strani individui altezzosi e ciechi
seduti tronfi conversano di danaro e potere.

Ideali scomparsi, Croci griffate e spoglie
gettano ombre sinistre su Sindoni sporche di escrementi.
Incubi senza risveglio.
Banale incredulità senza piu speranza.

giovedì 24 dicembre 2009

Kim Peek

Kim Peek
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Peek1.jpg

Kim Peek, foto Darold A. Treffert

Kim Peek (Salt Lake City, 11 novembre 1951 – Salt Lake City, 19 dicembre 2009) è stata una persona affetta dalla sindrome dell'idiota sapiente con una straordinaria memoria eidetica e disturbi dello sviluppo psicologico dovuti a una congenita deformazione del cervello. Ha ispirato il personaggio di Raymond Babbit, interpretato da Dustin Hoffman nel film Rain Man - L'uomo della pioggia.

È deceduto nel 2009 a 58 anni a causa di un attacco cardiaco.[1]
Indice
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* 1 L'aspetto mentale
* 2 Il vero "Rain Man"
* 3 Televisione
* 4 Note
* 5 Bibliografia
* 6 Voci correlate
* 7 Collegamenti esterni

L'aspetto mentale [modifica]

Kim Peek è nato con una macrocefalia associata a danni al cervelletto, e, ciò che forse più conta, un'agenesia del corpo calloso, condizione nella quale manca la rete di fibre nervose che connettono tra loro gli emisferi cerebrali. Nel caso di Peek, mancano anche connessioni secondarie come la commessura anteriore. È stato supposto che i suoi neuroni, in assenza di un corpo calloso, abbiano creato nuove connessioni, il che ha comportato una maggiore capacità mnemonica.

Secondo suo padre Fran, egli era in grado di svolgere attività mnemonica sin dall'età di 16-20 mesi. Imparava a memoria i libri che leggeva, dopodiché, per segnalare che li aveva finiti, li posava rovesciati sulla mensola, un'abitudine che ha conservato. Leggeva un libro in un'ora circa, e si ricordava circa il 98% di tutto quello che aveva letto, memorizzando un'enorme quantità d'informazione nei più disparati campi, dalla storia alla letteratura, dalla geografia alla matematica, dagli sport alla musica alle date. Conosceva a memoria circa 12.000 libri. Peek riusciva a fare a mente anche calcoli complessi, una capacità che gli tornava utile nel suo lavoro quotidiano, che consisteva nello stilare buste-paga. Dal 1969 è stato attivo presso un laboratorio di adulti disabili.

Peek ha imparato a camminare solo all'età di 4 anni, e aveva una deambulazione sghemba. Non era in grado di abbottonarsi la camicia ed era in difficoltà in altre attività motorie, probabilmente a causa dei danni al cervelletto, normalmente preposto alla coordinazione di queste attività. Nei test psicologici generali, Peek si era rivelato ben al di sotto della media come QI, ma aveva ottenuto punteggi altissimi in alcuni sotto-test. I discordanti risultati hanno condotto alla conclusione che tali test non fossero gli strumenti adatti per valutare le capacità di Peek.

A differenza di molti idiot savant, Peek ha mostrato crescenti capacità socializzanti, probabilmente in séguito alle attenzioni ricevute, come il "vero Rain Man". Suo padre sostiene che dal 2004 all'incirca ha cominciato a dar prova di un inedito senso dell'umorismo. Inoltre si è dimostrato ben di più di un semplice deposito di enormi quantità d'informazione; la sua capacità di associare tra loro le informazioni che aveva memorizzato è stata almeno un segno di creatività. Dimostrava difficoltà con le astrazioni, verificabili nell'interpretazione di proverbi o movenze metaforiche. Benché non sia mai stato un prodigio musicale, le capacità di Peek adulto in questo campo hanno riscosso attenzione da quando ha cominciato a studiare il pianoforte. Dimostrava di ricordare musiche udite decenni prima, e riesce a riprodurle al pianoforte, compatibilmente con le sue limitate capacità manuali. Era in grado di pronunciarsi scorrevolmente sui pezzi di musica che eseguiva, istituendo ad esempio paragoni tra il brano che stava suonando e un altro già sentito. Durante l'ascolto di registrazioni, era in grado di distinguere a quali strumenti erano affidate le singole parti, e si esercitava nell'indovinare compositori di musica mai sentita ricorrendo al paragone con le migliaia di pezzi musicali che aveva a mente.
Il vero "Rain Man" [modifica]
Kim Peek con il padre Fran, foto Darold A. Treffert

Nel 1984 lo sceneggiatore Barry Morrow ha reso visita a Peek ad Arlington, nel Texas; il risultato dell'incontro è stato il film Rain Man del 1988. Il personaggio di Raymond Babbit, benché ispirato a Peek, era impostato come quello di un autistico. Dustin Hoffman, che recitava Babbit, incontrò Peek e altri idiot savant per capire a fondo la loro natura e recitare con maggior aderenza. Il film comportò una valanga di richieste di apparizione, ciò che ha dato un grande impulso all'autostima di Peek. Barry Morrow ha dato a Kim il proprio Oscar da portare con sé e da mostrare nelle varie occasioni. È stato chiamato "l'Oscar più amato" perché, tra tutti, è stato l'Oscar tenuto in mano dal maggior numero di persone. Kim era a suo agio nel fare la conoscenza con estranei, mostrando loro la propria abilità nei calcoli delle date dicendo loro in quale giorno della settimana sono nati e quali erano i titoli grossi sui giornali di quel giorno.

Viaggiava con il padre, che lo aveva in carico e compiva tutte quelle azioni che Peek da solo non poteva compiere. Insieme con il padre ha anche pronunciato un discorso all'inaugurazione della Athanasius Kircher Society.

Nel 2004 scienziati della NASA hanno sottoposto Peek a una serie di test, inclusa la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica, allo scopo di creare un'immagine tridimensionale della sua struttura cerebrale, relazionando i risultati con gli esiti di una risonanza magnetica fatta nel 1988. È stato il primo tentativo di utilizzare le nuove tecnologie non invasive all'unico scopo di conoscere come una persona con anomalie cerebrali fosse in grado di fare quello che faceva.
Televisione [modifica]

Peek è anche apparso in televisione. Ha fatto una breve apparizione in Medical Incredible, uno show del Discovery Health Channel, e un'altra su Discovery Channel, dove ha incontrato un altro idiot savant, Daniel Tammet, e ha rilasciato una breve intervista. Insieme a Daniel Tammet è apparso in Brainman, un documentario di Discovery Channel. Ha fatto un'apparizione nella trasmissione Believe it or not. È apparso alla CNN, intervistato da Richard Quest. Discovery Channel ha trasmesso uno speciale di un'ora intitolato Inside the Rain Man, dedicato alla vita di Kim Peek. Uno show di un'ora, intitolato The Real Rain Man, è stato trasmesso su Discovery Health il 26 novembre 2006.
Note [modifica]

1. ^ Notizia della morte su Il Mattino

Bibliografia [modifica]

* Treffert, Darold A. & Christensen, Daniel D. Inside the Mind of a Savant Scientific American December 2005 [1]
* «NASA Studying 'Rain Man's' Brain», Space.com, November 8 2004.
* Peek, Fran, The Real Rain Man: Kim Peek, Salt Lake, Harkness, 1996. ISBN 0-9651163-0-1
* «The Real Rain Man—Kim Peek, Savant», 20/20, January 7 1994.
* Portions of the text are the work of the Wisconsin Medical Society and Darold A. Treffert, M.D.[2]

Voci correlate [modifica]

* Autismo
* Sindrome di Asperger
* Autistici celebri
* Rain Man

sabato 19 dicembre 2009

Lin Yutang

Lin Yutang

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


« Tutti dovrebbero prendere l'abitudine della non lettura... alzando ogni tanto gli occhi dal libro e pensando a quello che hanno letto. Se non lo hanno capito, lo rileggano. Se ancora non lo capiscono posino il libro e cerchino la risposta in un altro. È ciò che io definisco «lettura attiva». »

sabato 24 ottobre 2009

Strane cose

Viviamo in un mondo strano.
Non sono un moralista e non voglio propio farlo ma non riesco a capire il perchè una buona percentuale tra le persone ricche e potenti di questo nostro mondo, quelle che hanno tutto il desiderabile, sente il bisogno di distrarsi con festini e serate spese tra cocaina, transessuali ,escort e similari.
Macchine che furtive girano di notte, appartamentini solitari, barche lussuose.... tutto nel vano tentativo di nascondersi, pensando che con i soldi si possa comprare propio tutto persino amore e felicità.
Dietro questi capelli curatissimi, faccioni pieni di ceroni e cremette,sorrisoni bianchissimi,, luoghi e locali esclusivi si nascondono tutti i sintomi di una vita piena di solitudine e noia.
Lapo E. , Silvio S.,Silvio B, Piero M. e tantissimi altri come loro da noi spesso invidiati devono invece farci solamente pena .

giovedì 17 settembre 2009

Cosa arrichisce di più l animo di un uomo? Conoscere tutta la filosofia e la letteratura del mondo o la possibilità di passare spesso una serata con vecchi amici ridendo e conversando?
Come possiamo educare meglio un bambino? Usando le parole giuste al momento giusto o l'esempio che diamo quotidianamente?
Non mi posso scordare che quando ero bambino e mia Nonna mi parlava del Vangelo il mio personaggio preferito, dopo Gesù, era il bandito che si pente mentre era crocefisso insieme al Signore.

martedì 15 settembre 2009

Un secolo di zip

Anno più anno meno, la zip ha circa un secolo e... lo porta molta bene. Da qualche stagione domina incontrastata sulle passerelle dimostrando che la sua praticità e il suo valore simbolico resistono agli anni e ai cambiamenti della società.

Risalire alla sua nascita non è semplice: diverse, infatti sono le date attribuite all'anno della sua invenzione. Per Robert Friedel tutto ha inizio nel 1896. Nel suo libro dedicato alla "lampo" intitolato, appunto, "Zipper", in uscita in questi giorni in Gran Bretagna, lo scrittore narra che una certa signora di Chicago, Whitcomb L. Judson, non potendone più di attaccare bottoni, chiese al marito, "inventore" dilettante, di risolverle il problema pensando a qualche altro sistema. Il 29 agosto 1896 il marito registrò all'ufficio brevetti un aggeggio chiamato "chiusura di sicurezza separabile".

Altre fonti parlano del 1893 come dell'anno del brevetto e del 1913 come di quello in cui questa invenzione veniva messa in produzione dallo svedese Gideon Sundback.

Fra le altre date di nascita emerge anche il 1851, anno in cui negli Stati Uniti Elias Howe, noto per l'invenzione della macchina da cucire, brevetta la "prima chiusura automatica continua per abiti", fatta di una serie di ganci uniti da un cordoncino che scorre e scivola su dei denti metallici. L'invenzione, mai messa sul mercato, nel 1917 fu perfezionata e, grazie alla sua praticità, applicata sulle tute di volo della marina americana. Successivamente B.G. Worth, della ditta B.F. Goodrich Co. la utilizzò per le sovrascarpe di gomma brevettandone anche il nome: " zipper".

(http://www.eagleseng.com/chiusura-lampo.htm)

domenica 28 giugno 2009

Tristezza

E' morto Nonno Franco.
Uomo serio, gentile,galantuomo e idealista.
Un altro pezzo di care memorie che se ne va.

giovedì 4 giugno 2009

venerdì 17 aprile 2009

...Paulo Brabo

Minha primeira transgressão
Posted: 17 Apr 2009 02:14 AM PDT
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Minha primeira transgressão foi pura e casta e devota e bem-intencionada, mas ninguém é perfeito e todos devem começar por algum lugar. Minha primeira transgressão foi deixar o conforto da igreja institucional a fim de denunciar os perigos da serpente que eu sabia que morava ali dentro.
O conflito surgira antes, naturalmente, no momento em que meus olhos se abriram para o fato de que a serpente estava ali, no meio de nós, e ninguém além de mim parecia ser capaz de perceber. O protagonista não precisa de nada (e eu de nada precisava e de lugar algum queria sair), até que entra em cena o conflito.
Abracei a transgressão porque intuí, tomado de terror e depois de procurar por uma longa agonia adiar o inevitável, que ninguém acreditaria que a serpente estava na instituição enquanto eu mesmo permanecesse nela. Minha postura deveria necessariamente acompanhar a seriedade do meu alerta. Afastei-me porque alertei sobre o perigo da serpente, e afastando-me e alertando transgredi.
Isso aparece claramente no meu sonho quando tomo a serpente pela cabeça, saio com ela da sala e meus amigos fogem de mim, ultrajados não diante da serpente (que não podem ver) mas da minha súbita diferenciação.
O sonho não é alegoria: só a mitologia pessoal pode atribuir sentido a ele, e eis a minha.
Eu sabia que estava fazendo algo nobre e justo e bom, e a única coisa que me permitia sem ambiguidade a consciência. Mas, como ninguém sabe antes de transgredir, as boas intenções não são livres de ambivalência, o avanço da narrativa exige conhecer o bem e o mal, e a serpente é insidiosa.
Porque, evidentemente, alertar sobre os perigos da serpente é o mesmo que ceder ao seu engodo.
Alertar é o mesmo que afirmar-se melhor; é o mesmo que condenar, e ninguém condena impunemente, sem acabar se tornando ele mesmo motivo de repreensão. Alertar, condenar e repreender são rodeios bem intencionados para afirmar-se Deus (”vocês serão iguais a Deus”) sem ter qualquer ferramenta para sê-lo. É vestir a máscara da acusação, pela qual nos tornamos um com a serpente e aceitamos candidamente a sua oferta. Eu efetivamente passara a dizer aos outros que ser igual a Deus é ser igual a mim.
É por isso que quando recebo a afetuosa picada da serpente, no último instante do sonho, sou forçado a perceber que havia me tornado indistinguível dela. Eu me transformara naquilo que dedicara uma virtuosa cruzada a denunciar.
Eu conhecera o bem e o mal.

lunedì 6 aprile 2009

Dal Corriere della Sera del 01/02/2009


giovedì 02 aprile 2009 in IN EVIDENZA Commenti: 62 9.0 - 2 valutazioni -
Sul Corriere della Sera di questa mattina è stato pubblicato un articolo sulla paura procurata dalla notizia dell'imminente terremoto legata alle previsioni di Giampaolo Giuliani. Questi i titoli del maggiore quotidiano nazionale: "Aveva previsto un evento «disastroso». «Prevedo un terremoto». E un ricercatore scatena la psicosi tra l’Aquila e Sulmona. La profezia di Giampaolo Giuliani, tecnico che fa ricerca ai Laboratori del Gran Sasso provoca il panico".
Non bastasse lo sciame sismico che da metà febbraio ha trasformato questo angolo d’Abruzzo in una pista di rock and roll, con oltre 30 scosse di magnitudo superiori ai 2 gradi, scuole chiuse, malori, tetti pericolanti e gente sull’orlo di una crisi di nervi, a fare danni ci si è messo anche «il terremoto che non c’è»: o meglio, che sarebbe dovuto arrivare e per fortuna non c’è stato.Annunciata con toni quasi profetici da Gioacchino, Giampaolo Giuliani, tecnico che fa ricerca ai Laboratori nazionali del Gran Sasso e che da anni sostiene di aver elaborato un metodo in grado di prevedere l’arrivo degli eventi sismici, la notizia del terremoto, che nelle previsioni di Giuliani avrebbe dovuto essere «disastroso», ha scatenato tra domenica e lunedì una psicosi collettiva, che ha mandato in tilt Sulmona e dintorni. Tale il vespaio, da costringere ieri la commissione Grandi Rischi della Protezione civile a riunirsi in fretta e furia «per rassicurare la popolazione che non c’è alcun pericolo in corso», che «la situazione è monitorata ora per ora» e che «non è possibile prevedere in alcun modo il verificarsi di un sisma». Con un diavolo per capello, il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, si è scagliato contro «quegli imbecilli che si divertono a diffondere notizie false», chiedendo una punizione esemplare.E così è stato: Giuliani, che basa le sue previsioni sull’analisi di un gas (il Radon) sprigionato dalla crosta terrestre e che ha costruito enormi cubi in piombo per monitorare il suolo, ora si ritrova addosso una denuncia per procurato allarme. «È stato terribile». Il sindaco di Sulmona, Fabio Federico, ancora non si è ripreso. Domenica era a Roma, al congresso del Pdl. In mattinata, una scossa di magnitudo 4 aveva squassato il suo paese. «I vigili urbani— ha raccontato—mi hanno messo telefonicamente in contatto con questo signore (Giuliani, ndr.), che mi ha annunciato l’arrivo, da lì a poche ore, di un sisma devastante. Non sapevo che fare: far scattare il piano d’evacuazione o fare finta di niente?». A Sulmona intanto tutti già sapevano. Ed è stato il panico: gente in strada con i materassi, parroci che hanno svuotato le chiese, famiglie radunate nelle palestre. Poi è passata la domenica. E pure il lunedì. La terra ha tremato ancora. Ma piccole scosse. Niente al confronto del «terremoto che non c’è».Corriere della Sera, Francesco Alberti, 01 aprile 2009

sabato 4 aprile 2009

Tirei do Blog do Volney Faustini

Viva Cuba!
É interessante, senão incrivelmente espantoso, os tempos em que vivemos.
Uma das minhas heroínas da atualidade é nossa colega blogueira Yoani Sanchez do Generación Y. A revista Time considerou-a uma das 25 mais importantes blogueiras da atualidade.

Para superar a censura - ela e os blogueiros cubanos precisam fazer uma ginástica tal para que seus textos cheguem até a desembocadora e para daí subir à internet. São dois ou mais passos.
Em pleno novo Milênio, ano de 2009 -reproduzo seu texto que serviu como um grito contido de liberdade. Si me dieran el micrófono… diría:
Cuba es un país rodeado de mar y es también un Isla cercada por la censura. Al muro del control informativo, Internet y especialmente los blogs le han abierto algunas grietas. El fenómeno de la blogósfera alternativa ha ido creciendo y ya es conocido por una buena parte de la población cubana. Somos todavía unos pocos bloggers, pero nuestros sitios acentúan el despertar de la opinión ciudadana.
Las autoridades consideran a las nuevas tecnologías como un “potro salvaje” que hay que domesticar; pero los bloggers independientes queremos que corra libremente. Las dificultades para difundir nuestros sitios son muchas. De mano en mano y gracias a las memorias flash, los Cds y los obsoletos disquetes, el contenido de los blogs recorre la Isla.
Internet se está convirtiendo en una plaza pública de discusión, donde los cubanos escribimos nuestros criterios. La isla real ha comenzado a ser una isla virtual, más democrática y plural.
Lamentablemente, esos aires de libre opinión que recorren la red, apenas si han soplado sobre nuestra vigilada realidad. No sigamos esperando que nos autoricen a entrar a Internet, a tener un blog o a escribir una opinión. Ya es hora de saltarnos el muro del control.
Que os blogs independentes corram livremente como 'potros selvagens'!
# posted by Volney Faustini @ 9:54 PM

venerdì 3 aprile 2009

"La differenza tra il genio e la stupidità è che il genio ha i suoi limiti" –Albert Einstein

Me pergunto se è mais feliz o imbecil que vive se achando um genio, ou o genio se achando um imbecil....eu me acho genio e vcs?

martedì 31 marzo 2009

O deus que não é Deus Ricardo Gondim


Existe um deus que não é Deus. O único com força para enfrentar a Deus. Essse deus não vive em alguma dimensão cósmica ou ponto do universo. Seu oratório é a mente humana. Ele é um deus familiar, pois vive nos espelhos da alma. Mesquinho, cobra desempenhos impossíveis. Inclemente, castiga as inadequações dos fracos com fúria. Ofendido por uma pessoa, dizima gerações inteiras. Imprevisível, age com um humor indetectável. Existe um deus que não é Deus. Capaz de ofuscar o próprio Deus, misturou-se em todas as religiões. Sanguinário, exige sacrifício para estender a sua compaixão. Impassivo, privilegia os eleitos e condena o resto. Indiferente, descarta a prece da criança quando não se encaixa em seus propósitos. Distante, volta as costas para os miseráveis em nome da coerência. Existe um deus que não é Deus. É possível encontrá-lo nos paços sacerdotais, nas leis canônicas, nas teologias que o sistematizaram. Ele vingou na religião e a cúrias já mapearam as suas ações. Sem bondade, ele defende a virtude. Sem graça, faz apologia da verdade. Os cristão sabem que ele existe; já provaram o fel de sua justiça na Inquisição. O homem-bomba de hoje testemunha o seu furor para os muçulmanos. Ele aparece em cada campanha de oração pentecostal para mostrar como é difícil ganhar o seu favor.
Existe um deus que não é Deus. Ele é uma divindade que não suporta ver Jesus almoçando com pecadores, bebendo vinho perto de mulheres suspeitas, elogiando pagãos ou prometendo o Paraíso para gatunos. Esse deus precisa desaparecer, pois é um ídolo malvado. E só com a sua morte nascerá o Salvador.
Soli Deo Gloria.

lunedì 30 marzo 2009

Luna, Silenziosa o Sorella?

Per colpa di quel disgraziato di mio figlio mi sono ritrovato di Domenica sera a studiare Leopardi. L’ho ritrovato come lo ricordavo, stupendo e grandioso.
Mi ha suscitato impressioni e stimolato domande diverse da quelle che ricordavo.

Ne è passata di acqua sotto i ponti negli ultimi 25 anni e quindi sono cambiato, sarà per questo che mi sono ritrovato a chiedermi come mai Leopardi non avesse cercato anche nella fede le risposte alle inquietudini che lo accompagnavano.
Quando parlo di Fede non parlo di conoscenza religiosa o di cultura cattolica, ma di una Fede vera, una ricerca di un rapporto diretto e verticale con Dio da non confondere con quella specie di scaramantico paganesimo truccato da cattolicesimo cosi comune tra i banchi delle chiese.

Mi è parso di vederlo, appena bambino buttarsi a capofitto tra i libri cercando con passione attraverso lo studio, quel calore e quei sentimenti che dei genitori un po freddi e austeri gli lesinavano.

Riesco ad immaginarlo immedesimarsi in Achille, in Ettore, in Enea, in Giulio Cesare, in Marco Polo od in Stanley. Lo vedo progettare viaggi e grandi imprese, sognare amori, lotte e conquiste.

Poi crescendo, quando la pressione dei lombi comincia prepotentemente a farsi sentire, spingerlo verso nuovi bisogni e obbiettivi ma un fisico malato ed inadeguato lo pregiudica.
E tutto quest' immenso bagaglio culturale invece di aiutarlo a spiccare il salto verso avventure e mondi lontani, gli fà da zavorra trascinandolo inesorabilmente nell' introversione.
La cultura diventa un qualcosa che lo obbliga ancor di più al pensare ed al domandarsi sui ma ed i perché irrisolti dell’esistenza.
Le ore passate sui libri che fino ad ora rappresentano un gioco ed una fuga piacevole e appagante, diventano un rifugio ed un ossessione che non riescono purtroppo ad anestetizzare completamente questo dolore.

Più se ne rende conto e più cresce dentro se la rabbia verso la futilità della cultura e verso questa natura matrigna.

Mi è sembrato strano che a questo giovane intelligente, colto e romantico ma gobbo e malaticcio nessuno abbia proposto, o se l ha fatto non vi sia riuscito, di cercare risposte e pace in Dio. Magari con la sua sensibilità con la sua cultura e la sua intelligenza avrebbe potuto poi proporci e condividere , un meraviglioso modo di concepire e conoscere Dio.
Ma purtroppo in Leopardi non appare questa Fede.

Quando si è dotati di buona intelligenza e ci si arma di cultura e raziocino il rischio di una depressione esistenziale diventa probabile e nè la cultura e nè la natura possono da sole, darci risposte positive a domande che toccano misteri come i veri perchè della la vita e della morte, della malattia dell'ingiustizia dell'amore, oppure al perché del Caso che a volte premia ed altre beffa.

Questo diventa ancor più possibile quando il proprio fisico è stato colpito da malformazioni come quelle del Leopardi, è propio in questi momenti che per arrivare a capire il vero perché dell’esistenza abbiamo bisogno di qualcosa di più della nostra, per quanto eccelsa, capacità di raziocino, magari possiamo arrivarci vicini..ma mai comprenderli pienamente e finitamente senza l’aiuto della Fede.
E' solo la Fede che va oltre, anche o sopratutto perchè ci concede il lusso di poter liberamente andare anche contro la ragione.

Basta leggere come e cosa scrive San Francesco e confrontarlo con un opera di Leopardi per capire appieno come sia importante, per essere felici, il modo come noi ci sentiamo con noi stessi e come noi ci sentiamo verso gli altri, l'esistenza di un Perchè comune e necessario ci fa essere felici in barba ad ogni logica consumistica od estetica, materiale o spirituale .
Anche la Luna puo essere sorella oppure silenziosa......


Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
petialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo ,
per lo quale,a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi Signore,
per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati ,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi Signore
et rengratiatee serviateli cum grande humilitate




Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
move la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera:
altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
...........continua




domenica 29 marzo 2009

mercoledì 4 marzo 2009

Do site do Paulo Brabo (www.baciadasalmas.com)

Epígrafe
Posted: 04 Mar 2009 01:03 AM PST
Há em Florença uma velha e respeitada fábrica artesanal, fundada em 1496, cujo produto é uma tinta azul-esverdeada usada exclusivamente na impressão de livros (as matérias-primas são fuligem, alcatrão, água do mar, corante de calamar e púrpura, cascas de cigarra, manjericão e aglutinante de figo). Em seu mais antigo manual está escrito (escândalo calculado para atingir determinada estirpe de puristas) que a tinta é artigo mais espiritual, e portanto de maior valor, do que o papel. O papel, observaram os fundadores, é sempre mudo, prosaico, parvo e passivo – em contraste com a tinta, que é fluente, alada, articulada e positiva. É o sopro da tinta que anima o papel, e nunca o contrário.
O perímetro da fábrica é ligado ao pátio central por diversas galerias, e ao longo de cada galeria há três portões de ferro: um no meio e dois em cada extremidade. Ao invés de barras ou ornamentos, a gradaria de cada portão consiste numa citação latina ou inglesa escrita em letras finas e serifadas de ferro, sendo que as palavras, em diversos pesos e tamanhos, descem e ascendem arcos da mais requintada manufatura. Quem se aproxima dos portões vê portanto palavras através de palavras através de palavras, e cada portão altera, à medida que se abre ou fecha, o sentido do seguinte.
Na fábrica em si não se imprimem livros, mas numa velha prensa manual reproduzem-se ainda, a partir de uma matriz ancestral, pequenas cartilhas destinadas a ensinar às crianças os perigos da leitura. Ilustrações à traço primitivo, de feitio medieval, mostram crianças pegando fogo, caindo em abismos, sendo comidas por canibais e arrastadas ao inferno pelo crime de terem aberto e vislumbrado o conteúdo dos livros anônimos que carregam em suas mãozinhas.
Na fachada da fábrica, bem como na epígrafe da cartilha, espreita a frase Um livro é um homem fingindo-se de morto.

martedì 13 gennaio 2009

Ciò che sai amare rimane, il resto è scoria
ciò che sai amare non ti sarà strappato
ciò che sai amare è il tuo vero retaggio
il mondo, quale? Il mio, il loro o di nessuno?
Prima venne la vista, poi diventò palpabile Eliso,
fosse pure in quell’antro d’inferno,
ciò che tu sai amare è il tuo vero retaggio
ciò che tu sai amare non ti sarà strappato.
La formica è centauro nel suo mondo di draghi.
Deponi la tua vanità,
non è l’uomo che ha fatto il coraggio
, o l’ordine o la grazia,
deponi la tua vanità, dico, deponila!
La natura t’insegni quale posto ti spetta
per gradi d’invenzione o di vera maestria,
deponi la tua vanità,
Paquin, deponila!
Il casco verde tua eleganza offusca.
“Padroneggia te stesso, e gli altri ti sopporteranno”.
Deponi la tua vanità
sei cane bastonato sotto la grandine
tronfia gazza nel sole delirante,
mezzo nero mezzo bianco
tu non distingui fra ala e coda
giù la tua vanità
spregevole è il tuo odio
che si nutre di falso,
deponi la tua vanità,sollecito a distruggere,
avaro in carità,deponi la tua vanità
dico, deponila!
Ma avere fatto piuttosto che non fare
questa non è vanità
aver bussato, discretamente,perché un Blunt ti apra
avere colto dall’aria una tradizione viva
o da un occhio fiero ed esperto l’indomita fiamma
questa non è vanità.
L’errore sta tutto nel non fatto,
sta nella diffidenza che tentenna…
(Ezra Pound, da Canti Pisani)

sabato 10 gennaio 2009

Preso da Repubblica

Da Gomorra a Stoccolma
io e i fantasmi dei Nobel
di ROBERTO SAVIANO


Roberto Saviano

Essere invitati alla Svenska Akademien, l'Accademia di Stoccolma che dal 1901 assegna ogni anno il premio Nobel, mette addosso uno stato d'ansia sottile: impossibile scacciare il pensiero di essere ricevuti nell'ultimo luogo sacro della letteratura. Ma quando arrivo a Stoccolma, trovo una sorpresa. Tutto è coperto di neve. La neve, l'avrò toccata al massimo tre volte in vita mia. 

All'aeroporto sono tutti nervosi per la tempesta, invece a me uscire in quel bianco dà un senso di gioia infantile, anche se la temperatura è artica e il mio cappotto, buono per gli inverni mediterranei, in Svezia si rivela quasi inutile. La prima cosa che mi spiegano, non appena arrivo all'Accademia, sono le regole: severe, inderogabili. Bisogna indossare un abito elegante e ogni gesto dev'essere concordato. Gli accademici sono nominati a vita, diciotto membri che io mi figuro come ultimi aruspici che vaticinano il futuro delle lettere: venerati, odiati, mitizzati, sminuiti, presi in giro per il loro potere, corteggiati da tutto il mondo. Non riesco a immaginarmeli. Nella sala riservata incontro i primi due: un anziano signore che si era tolto le scarpe e una signora che cerca di dargli una mano a infilarsele di nuovo. Con un'eleganza naturale, mi stringe la mano e poi mi dice: "Il suo libro mi è entrato nel cuore". Capisco presto che la Svezia è attentissima a ciò che accade altrove, il paese che forse più di tutti al mondo sente le contraddizioni di altri paesi come proprie. Alcuni accademici mi rivolgono domande sull'Italia, in un modo, però, che non mi sarei aspettato. Tutti, ma proprio tutti, mi chiedono di Dario Fo, di come sta e cosa sta facendo, e infine mi raccomandano di portargli i loro saluti, come dando per scontato che ci frequentiamo abitualmente. 

E poi mi chiedono come sono considerati da noi Giorgio La Pira, il mitico sindaco di Firenze degli anni Cinquanta, e anche Danilo Dolci, Lelio Basso, Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi. Un'Italia dimenticata dagli italiani che lì non solo ricordano ma considerano l'unica degna di memoria. Un signore si avvicina per mettermi il microfono, mi parla in italiano e io reagisco con stupore: "Perché si stupisce? Lei qui è al Nobel dove parliamo tutte le lingue del mondo". 

Salman Rushdie aspetta già nella stanzetta riservata. Ci abbracciamo. La generosità che mi dimostra sin da quando ci siamo incontrati la prima volta nasce da chi non dimentica quel che ha passato. Vuole trasmettermi qualcosa di quel che ha imparato sulla sua pelle, vuole forse che io possa fare meno fatica a reimpadronirmi di qualche brandello della mia libertà, ma già comprendere di non essere solo con la mia esperienza per me è prezioso. Sembra incredibile. Quando ricevette la sua condanna, ero un bambino, andavo appena alle elementari. La sua fatwa khomeinista e le mie minacce camorriste nascono da contesti diversissimi, ma le conseguenze sulle nostre vite, le ripercussioni sulle nostre storie di scrittori finiscono per essere pressoché identiche. Lo stesso peso della prigionia che nessuno riesce a cogliere fino in fondo, la stessa ansia continua, la solitudine, lo stesso scontrarsi con una diffidenza che può divenire diffamazione e che è la cosa che più ti ferisce con la sua ingiustizia, che meno tolleri. Tutto quel che Rushdie dirà nel suo discorso sulle difficoltà di attraversare una strada, prendere un aereo, trovare una casa, e tutto quel che rende impossibile una vita blindata, mi farà pensare: "È vero, è proprio così". 

Discutiamo di come organizzare l'incontro. Anche qui le regole sono precise. Dopo esser stato invitato a parlare, devo fare la mia prolusione, non restare troppo tempo ad accogliere gli eventuali applausi ma tornare presto a sedermi. Poi sarà il turno di Rushdie, e seguirà un dialogo. Finito quello, non dobbiamo stringere la mano a nessuno né firmare libri, dobbiamo attraversare la sala e andare via. Quando tutto è chiarito, entriamo nella sala dell'Accademia. Me l'ero immaginata completamente diversa: un teatro enorme, sontuoso, un tripudio di palco e platea. Come ogni mito si rivela invece esattamente il contrario. Una sala in legno, deliziosa ed elegante, ma raccolta, intima. C'è una specie di recinto al centro, dove sono seduti gli ospiti, gli editori, i familiari, il segretario permanente dell'Accademia Horace Engdahl, più qualche selezionato giornalista. 

Mentre Engdahl fa il suo discorso introduttivo, io mi sento pressappoco come quando aspettavo di discutere la mia tesi di laurea. Tutto ciò che hai preparato svanisce. Senti solo la testa vuota, il cuore in petto come un grumo ingombrante, la gola secca. Mi aggrappo ai nomi degli scrittori che hanno ricevuto il Nobel su quello stesso podio dove presto dovrò salire a parlare anch'io. Sento che in quella stanza si sono depositate le loro parole, che sono rimasti impressi nel legno i discorsi di Saramago, Kertesz, Pamuk, Szymborska, Heaney, Marquez, Hemingway, Faulkner, Eliot, Montale, Quasimodo, Solgenitsyn, Singer, Hamsun, Camus. Elenco nella mente quelli che ricordo, quelli che conosco meglio o ho più amato, quasi mi gira la testa, è una vertigine. Come avrà appoggiate le mani su quel palchetto Pablo Neruda? Pirandello avrà chinato il viso sugli appunti o avrà fissato in volto gli accademici? Samuel Beckett avrà sorriso o sarà rimasto imperturbabile? Elias Canetti a chi avrà avuto la sensazione di parlare, al mondo o solo a una platea? Thomas Mann, mentre era lì, avrà presentito la tragedia che dopo pochi anni avrebbe vissuto la sua Germania? 

Cerco di respirare forte, un po' per calmarmi, un po' per fare come quando ti portano al mare da bambino e ti dicono che le scorpacciate di iodio inalate sulla spiaggia avranno il potere di proteggerti contro le influenze e i catarri dell'inverno. Così cerco di inalare le sedimentazioni di tutti quelli che sono stati in questa sala, sperando che anche loro mi aiutino a resistere all'inverno. Tocca a me. Salgo sul palco tanto temuto. Vorrei dire molte cose, portare più esempi di chi oggi stenta ad avere libertà di parola e di chi vive sotto minacce per aver dato fastidio al potere criminale: scrittori e giornalisti, dal Messico dove i narcos hanno ucciso Candelario Pérez Pérez, alla Bulgaria dove è stato ammazzato lo scrittore Georgi Stoev. 

Ma mi hanno detto che non devo mettere troppa carne al fuoco, parlare troppo a lungo, e così mi concentro su quel che per me rimane l'esperienza più importante. La letteratura e il potere, la scrittura che diviene pericolo solo grazie a ciò che di più pericoloso esiste: il lettore. Spiego come nelle democrazie non è la parola in sé che fa paura ai poteri, ma quella che riesce a sfondare il muro del silenzio. Esprimo la mia fiducia in una letteratura in grado di trasportare chiunque nei luoghi degli orrori più inimmaginabili, ad Auschwitz con Primo Levi, nei gulag con Varlam Salamov, e ricordo Anna Politovskaja che ha pagato con la vita la sua capacità di rendere alla Cecenia cittadinanza nel cuore e nella mente dei lettori di tutto il mondo. La differenza fra me e Rushdie è questa: lui condannato da un regime che non tollera alcuna espressione contraria alla sua ideologia; mentre laddove la censura non esiste ciò che ne prende le veci è la disattenzione, l'indifferenza, il rumore di fondo del fiume di informazioni che scorrono senza avere capacità di incidere. 

A volte mi sembra di essere considerato uno che viene da un paese troppo spesso e a torto valutato come un'anomalia. Ma quel che dico non ha a che fare solo col Sud Italia oppresso dalle mafie, e nemmeno con l'Italia in quanto tale. Per quanto a me questo sembri evidente, temo che per molti, tolti i riferimenti alla mia condizione, il quadro non sia altrettanto chiaro. Molti intellettuali, mentre rimpiangono la loro perdita di ruolo nelle società occidentali, continuano a considerare il successo con diffidenza o con disprezzo, come se invalidasse automaticamente il valore di un'opera, come se non potesse essere altro che il risultato dei meccanismi manipolativi del mercato e dei media, come se il pubblico a cui è dovuto fosse impossibile pensarlo diversamente da una massa acritica. È soprattutto nei confronti di quest'ultimo che commettono un torto enorme, perché se è vero che i libri non sono tutti uguali tantomeno lo sono i lettori. I lettori possono cercare di divertirsi o di capire, possono appassionarsi alla fantasia più illimitata o al racconto della realtà più dolorosa e difficile, possono persino essere la stessa persona in momenti differenti: ma sono capaci di scegliere e di distinguere. E se uno scrittore questo non lo vede, se non confida più che la bottiglia da gettare in mare approdi nelle mani di qualcuno disposto ad ascoltarlo, e ci rinuncia, rinuncia non a scrivere e pubblicare, ma a credere nella capacità delle sue parole di comunicare e di incidere. Allora fa un torto pure a se stesso e a tutti quelli che lo hanno preceduto. 

Quando Salman prende la parola, ricorda che la letteratura nasce da qualcosa che è consustanziale alla natura umana: dal suo bisogno di narrare storie, perché è grazie alla narrazione che gli uomini si rappresentano a se stessi e quindi solo un'umanità libera di raccontarsi come vuole è un'umanità libera. Rushdie non ha mai voluto essere altro che questo, un tessitore di storie, un romanziere senza vincoli, e quel che più lo ferisce non è il verdetto di un'ideologia che non poteva tollerarlo, ma la diffamazione di chi, proprio nel mondo libero, voleva far credere che non potesse essere soltanto questa la sua aspirazione, che dovesse essere guidato da secondi fini: i soldi, la carriera, la celebrità. 

Mi sale una sorta di magone in gola. Penso ai dieci anni blindatissimi di Rushdie e a come abbia fatto a non impazzire, penso che soltanto chi ha una vita molto riparata e tranquilla possa immaginarsi possibile un baratto fra l'ombra della morte e la libertà. Ma Salman continua senza scomporsi, termina il suo discorso e passiamo all'ultima parte di dialogo. Alla fine, quando ci alziamo, ricevendo gli applausi del pubblico e degli accademici, ci consegnano dei fiori e io penso che i ragazzi della scorta mi sfotteranno per questa cosa considerata da signore giù da noi. Ceniamo in una stanza dove sono passati tutti i premiati. Ci dicono che il cuoco è quello della regina, ma io quel cibo non riesco ugualmente quasi a mandarlo giù fino a quando non arriva un trionfo di gelato alla cannella e mele caramellate. 

Finisce la cena. L'etichetta prevede che nessuno possa alzarsi sino a quando non lo fa il presidente. Ripassiamo per la stanza della premiazione. La sala di legno è vuota. Le luci sono bassissime. Rushdie mi dice senza più l'ironia del suo discorso pubblico: "Continua ad avere fiducia nella parola, oltre ogni condanna, oltre ogni accusa. Ti daranno la colpa di essere sopravvissuto e non morto come dovevi. Fregatene. Vivi e scrivi. Le parole vincono". Saliamo sui legni del podio e ci facciamo fotografare con i nostri cellulari. Ridendo, abbracciandoci come se fossimo ragazzini in gita che hanno scavalcato le recinzioni e giocano a fare Pericle nel Partenone. Ci chiamano, dobbiamo uscire, prendere il caffè, salutare tutti e andare via. Le luci si spengono completamente e resto lì fermo, al buio. E lì al buio cerco ancora di raccogliere a pieni polmoni quell'odore di umido e di legno che sembra aver conservato tutte le presenze di chi è stato premiato in quella sala. 

"Personalmente, non posso vivere senza la mia arte. Ma non l'ho mai posta al di sopra di ogni cosa. Mi è necessaria, al contrario, perché non si distacca da nessuno dei miei simili e mi permette di vivere, come quello che sono, a livello di tutti. Ai miei occhi l'arte non è qualcosa da celebrare in solitudine. Essa è un mezzo per scuotere il numero più grande di uomini offrendo loro un'immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie comuni. Essa obbliga dunque l'artista a non separarsi. Lo sottomette alla verità più umile e a quella più universale. E spesso colui che ha scelto il suo destino d'artista perché si sentiva diverso apprenderà presto che non nutrirà né la sua arte né la sua differenza, se non ammettendo la sua somiglianza con tutti [?] Nessuno di noi è grande abbastanza per una simile vocazione. Ma in tutte le circostanze della propria vita, che sia oscuro o provvisoriamente celebre, legato dai ferri della tirannia o temporaneamente libero di esprimersi, lo scrittore può ritrovare il sentimento di una comunità vivente che lo giustificherà, alla sola condizione che accetti, come può, i due incarichi che fanno la grandezza del suo mestiere: il servizio della verità e quello della libertà". 

Mi sembra quasi di poterlo toccare, Albert Camus, che ha pronunciato queste parole nel 1957, tre anni prima di morire in un incidente stradale. E vorrei ringraziarlo, vorrei potergli dire che quel che aveva detto allora, è ancora vero. Che le parole scuotono e uniscono. Che vincono su tutto. Che restano vive. 
(Roberto Saviano 2008. Published by Arrangement 
with Roberto Santachiara Agenzia Letteraria) 

martedì 6 gennaio 2009

Non lo conosco ma mi è piaciuto molto

Tema Manuel

 

"Con le mani sbucci le cipolle…" cantava Zucchero; è una delle tante cose che ci consentono di fare le mani. Non credo sia possibile cantare tutte le azioni che si possono svolgere con le mani.

Dalla mattina quando mi sveglio e mi faccio il segno della Croce, per esempio, alla sera, quando spengo la luce per andare a dormire, le mie mani sono sempre in continuo e costante movimento, non si fermano quasi mai.

I movimenti delle mani si possono interpretare in tantissimi modi diversi.

Una stretta di mano rappresenta un simbolo di fratellanza, di pace, di riconciliazione, di alleanza, di accordo…

Una carezza è sinonimo di amore, di affetto; uno schiaffo è come un’arrabbiatura tra amici, eccetera…

Le mani servono in tutto e per tutto: servono per mangiare, per lavarsi, per vestirsi e per ogni altra azione da compiere nella vita quotidiana.

Le mani possono aiutare, possono giocare, stringere, prendere, colpire, unirsi.

In ogni girotondo le mani si uniscono, si stringono, si reggono l’una all’altra, non si lasciano cadere, si aiutano.

Secondo me, un girotondo è simbolo di unità, perché tutti danno il proprio contributo, tutti vogliono formare un bel cerchio, compatto e solido, ognuno è come un mattoncino che messo insieme agli altri forma una casa.

Con le mani si saluta; è la prima cosa che si fa al mattino, quando si incontrano i compagni.

Credo che salutare sia il gesto più frequentemente fatto con le mani; salutando si vuole manifestare la propria presenza ed entrare in contatto con gli altri.

Le mani servono anche per esultare, quando si vuole esternare la propria gioia, la propria felicità.

Con le mani mi sfogo, quando voglio scaricare la mia tensione su qualche oggetto (o persona).

Con le mani applaudo, per elogiare qualcuno e fare i miei complimenti.

Le mani possono anche sfogliare le pagine di un bel libro, per gustarlo in un momento di tranquillità.

C’è purtroppo qualcuno, che con le mani si diverte a fare anche cose non di questo tipo; c’è chi le mani le usa per uccidere, chi per rubare, chi per litigare e chi addirittura per bombardare e distruggere, ma su queste cose è meglio tagliar corto.

E… questo tema, con che cosa l’ho fatto?

Con le MANI!!!!


Manuel


sabato 3 gennaio 2009

Pensando..................




Jesus falou: Amarás o Senhor teu Deus de todo o teu coração, e de toda a tua alma, e de todo o teu pensamento. Este é o primeiro e grande mandamento; e o segundo, semelhante a este é: Amarás teu próximo como a ti mesmo. Destes dois mandamentos depende toda a lei e os profetas." 

Assim colocado parece simples nê?
Ate conseguir Amar o Senhor com todo o coração e com toda alma, por difícil que seja acredito seja alcançável, mas o segundo me parece utopia absoluta.
Quem de nos pode dizer de amar o próximo como a sim mesmo? e não estamos falando em um só próximo mas da humanidade toda.
Quem de nos abre a porta da própria casa a qualquer um que precise? Quem de nos deixa o carro aberto com a chave na ignição a disposição de qualquer um que precise?.
As vezes quem tenta fazer isto acaba no erro oposto se anulando, ou seja, 
não amando a sim mesmo como não se ama o próximo.
Ai começam os teólogos com as interpretações e explicações :-)
Quantos livros e palavras escritas para colocar a marteladas a realidade dentro da teoria.
O que verdadeiramente Jesus quer de nos? O esforço ou o resultado?

Il Go

Questa l ho rubata sul sito di un mio grande cyber amico.
Giuseppe De Buoi

...

Il Go è Armonia, Equilibrio, Elasticità, Intuizione, Bellezza, Coraggio, Modestia, Pazienza, Perseveranza, Volontà.

 

Praticato correttamente il Go è uno strumento di conoscenza e miglioramento personale, nutrimento per l’anima.

 

Nella tradizione orientale la Via, il Tao, è rappresentato da un ideogramma in cui una capra percorre un sentiero accidentato.

 

Lo strumento della pratica è la respirazione.

  

......................

 

Ho cominciato a giocare a Go a 50 anni per festeggiare l’arrivo del nuovo millennio, mi sembrava una occasione propizia …

Per mia fortuna c’era in Italia Shigeno Yuki, che ha avuto la pazienza di mostrarmi delle chiavi di lettura adatte alla mia età e ai miei precedenti di studioso di Alchimia del Soffio taoista. Senza questa introduzione della Maestra Shigeno non avrei potuto proprio avvicinarmi al Go così come era giocato nel 2000 a Milano. Ma ho avuto fortuna e sono comunque riuscito a sgusciare dentro questo meraviglioso gioco per una porticina laterale e a godermi qualche momento incantevole.

 

Partite estive al limitare del bosco.

Partite invernali col tè fumante.

Partite primaverili alla luce rosa dei ciliegi.

Partite autunnali impregnate dell’odore di resina.

La sensazione di avere la mano risucchiata dal goban.

La rivelazione improvvisa di un disegno misterioso.

La meraviglia di un nodo che si scioglie.

L’angoscia di fronte all’agonia.

L’emozione di una danza di corteggiamento.

Il pathos di un combattimento mortale.

La serenità di un fiore che sboccia.

Il turbamento di un pensiero rubato.