venerdì 10 dicembre 2010

Elefante e uomo: una drammatica convivenza

Previsioni pessimistiche sul futuro del gigante africano prigioniero di riserve troppo strette per le sue esigenze vitali


Previsioni pessimistiche sul futuro del gigante africano prigioniero di riserve troppo strette per le sue esigenze vitali Elefante e uomo: una drammatica convivenza C'e' un futuro fosco per l'elefante africano. Se penso a lui con la mentalita' dell'ecologo, non posso non notare come la difficolta' di convivenza con la nostra specie discenda da una certa somiglianza dei ruoli, nello stesso ecosistema. Tendenza alla predominanza, intelligenza, necessita' di una gran quantita' di risorse, propensione per l'esplosione demografica, queste le principali somiglianze. E' questa la realta': l'elefante e l'uomo, in Africa, mal si sopportano perche', per certi aspetti, si sovrappongono. Cio' appare tragicamente sempre piu' evidente ora che, almeno in parte, il problema del traffico dell'avorio e' risolto. E scrivo in parte riferendomi alle convenzioni internazionali, che ormai l'elefante lo proteggono sufficientemente pur permanendo il bracconaggio e il commercio clandestino. Fatto sta che gli elefanti che venivano massacrati per prelevare l'avorio oggi lo sono ancora perche' debordano dalle aree protette. Le barriere che tendono a evitare che entrino nelle zone coltivate, disturbano il loro comportamento, impediscono le migrazioni, ne fanno, in molti casi, "animali problematici", dannosi e pericolosi. D'altro canto le aree protette a loro riservate sono quantitativamente inadeguate, e questi animali a rischio di estinzione contraddittoriamente si trovano a vivere in uno stato di sovraffollamento che deprime la stessa biodiversita' dell'ambiente protetto. Difficile fare qualcosa di programmato a lungo termine nel continente africano, che vive in uno stato di instabilita' politica, di guerre e guerriglie, di necessita' di trovare soluzioni attuali per una popolazione umana in drammatico incremento demografico, con classi dominanti spesso impreparate a declinare in modo accettabile economia e ecologia. Questo pessimismo sul futuro dell'elefante africano l'ho tratto (o almeno ne ho avuto conferma) dal saggio di Joyce Poole "Ritorno in Africa" che e' appena stato pubblicato da Mondadori. Joyce Poole e' un'etologa che ha fatto ricerche sul campo sul comportamento dell'elefante per un paio di decenni, e che da qualche tempo si occupa in modo pratico della conservazione di questa specie. Le conoscenze sul comportamento sono essenziali per tentare, in qualche modo, di gestire questa complessa specie. La socialita' fondata sul matriarcato determina una peculiare distribuzione nello spazio degli individui che, proprio per l'alta socialita', per l'altruismo, devono sempre venire considerati come parte di un gruppo complesso dove tutte le classi sociali devono trovare una loro rappresentanza. La caccia in funzione dell'avorio, per contro, non solo ha drammaticamente fatto scomparire i vecchi maschi, ma anche le grandi matriarche, determinando spesso situazioni squilibrate capaci, in molti casi, di provocare addirittura pericolosi disturbi comportamentali e altre sofferenze. Ma c'e' di piu'. La ricerca etologica piu' avanzata offre infatti un ritratto dell'elefante africano che puo' porre sottili problemi di ordine etico a chiunque si trovi nella necessita' di intervenire drasticamente con piani eufemisticamente detti di selezione. Nel saggio sopraccitato si trovono alcuni capitoli che fanno il punto sulla struttura del pensiero, sulla cosiddetta telepatia elefantina (la comunicazione con infrasuoni), sulle capacita' di consapevolezza (il riconoscimento da parte del soggetto pensante dei propri atti o affetti), sull'empatia (la capacita' di un essere cosciente di proiettarsi con l'immaginazione nella coscienza di un'altra entita' vivente). E infine, impressionante, sulla capacita' di riconoscere la morte e di mettere in atto, nei confronti di un conspecifico morto, una ritualita' che richiama una sepoltura con frasche. Insomma, non e' solo una parziale sovrapposizione di ruoli in ambito ecologico a porre problemi al nostro rapporto con questo straordinario pachiderma, e' anche il riconoscimento di elevate caratteristiche di ordine etologico. E cio' che e' straordinario e' che, apparentemente, anche l'elefante percepisce un qualche tipo di affinita' intellettiva, forse di simpatia, con la nostra specie. E questo lo si nota specialmente quando un elefante s'imbatte in un cadavere umano. Perche' solo con la nostra specie ricompaiono i rituali dedicati agli elefanti morti. In definitiva c'e' molto da riflettere sull'etologia e l'ecologia dell'elefante africano, perche' i rischi che corre questa specie ci allertano su quelli che corre la nostra. Una volta si parlava di centralita' dell'uomo intendendo il suo predominio sulla natura. Ora, credo, non ha piu' senso ragionare in questi termini. La centralita' dell'uomo, semmai, non puo' oggi che identificarsi con altre parole, come responsabilita' e consapevolezza. Quella che lottare per salvare l'elefante significa farlo anche per salvare noi stessi.*

Mainardi Danilo

Pagina 22
(13 luglio 1997) - Corriere della Sera

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