giovedì 28 febbraio 2008

PER NON SOFFRIRE PIU’, EUTANASIA CON S’ACCABADORA

Preso su : http://www.ciao.it




La valutazione di questo autore:


Vantaggi: Conoscere la storia sociale della Sardegna
Svantaggi: Non leggere il libro . . .

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Secondo ipotesi, peraltro ben documentate, l'eutanasia in Sardegna - più precisamente un’eutanasia ante litteram - per esempio, è stata praticata. Era compito di “sas accabadoras” procurare quella che comunemente era chiamata la “dolce morte”, una morte in anticipo per persone in agonia da lungo tempo.
- “Eutanasia ante litteram in Sardegna” - Sa femmina accabadora. Usi, costumi e tradizioni attorno alla morte in Sardegna -
E’ questo il titolo del libro di Alessandro Bucarelli, medico legale all’Università di Sassari e Carlo Lubrano, anche lui medico alla stessa Università, edito dall’editrice Scuola sarda.
Il Libro consta di un approfondito studio e documentazione rinvenuta presso alcune curie e diocesi sarde, e presso musei.
Lo studio è incentrato sulla figura de “S’accabora” cioè di colei che, chiamata dai familiari del malato terminale, dava la buona morte. Una figura, a quanto sembra, realmente esistita in Sardegna che ha esercitato sino alla prima metà del ‘900 nella parte centro-settentrionale dell’isola.
Tutti sapevano e tutti tacevano, nessuna condanna sembra sia stata mai perpetrata nei confronti di questa donna “missionaria” che si faceva carico materialmente e moralmente di porre fine alle sofferenze del malato e che andava via in punta di piedi, senza ricevere alcun compenso.
Questo metodo di soppressione del malato è stato riscontrato anche nelle usanze dei popoli fenici ed etruschi, e scoprire che anche in Sardegna, sino a cinquant’anni fa, sia stata praticata quest’usanza ha destato molto scalpore e interesse per la figura della donna “accabadora”.
Sorprende, oltre alla stessa pratica dell’eutanasia, il fatto che mai né la chiesa né lo Stato, pur sapendo dell’esistenza di questo particolare personaggio, abbia preso provvedimenti nei suoi confronti. Nessuna scomunica da parte della Chiesa, in pratica era un’accettazione tacita dello stato delle cose, un personaggio a cui tutti prima o poi potevano far ricorso in caso di necessità.
Eutanasia è un termine che incute tristezza e rispetto, su cui si sente spesso discutere, che in qualche parte del mondo è permessa, in molte altre decisamente proibita e rifiutata.
In Italia, per esempio, non è consentito, per nessun motivo “staccare la spina” e anticipare la morte, neanche quando l'eutanasia è invocata e chiesta dal malato perché solo questa porrebbe fine a sofferenze atroci ed inumane.
Ai tempi de s’accabadora, invece, l’Eutanasia sembra sia stata praticata, nella maggior parte dei casi, il malato si sopprimeva con un cuscino, in altri casi si usava uno strumento “sa mazzola” una sorta di bastone appositamente costruito, di cui si parla nello stesso libro del Bucarelli e strumento rinvenuto nel Museo Etnografico “Galluras. La “mazzola” o martello sembra sia stato ritrovato in uno stazzo della Gallura. Un oggetto che certo non tranquillizza. Non è costruito a regola d’arte, più che altro è un ramo di olivastro lungo 40 centimetri e largo 20, con un manico che permette un’impugnatura sicura e precisa. Lo strumento che amministrava la morte nei piccoli paesi della Sardegna sino ai primi del novecento. Un’orribile suggestione suscita certo solo il parlare di questo strumento di morte, eppure la figura della donna che sino ai primi del novecento ha aiutato i malati ad evitare una lunga agoni affascina tutti, dagli studiosi come gli autori del libro, ai lettori, tanto che in poco tempo dall’uscita, il libro “Eutanasia ante litteram in Sardegna” è andato a ruba ed è letteralmente sparito dalle librerie sino alla sua riedizione.
Un fenomeno socio-culturale e storico di questa portata non poteva, certo, passare inosservato in Sardegna, un libro che ha suscitato curiosità, sbigottimento e apprensione per le notizie che vi sono riportate.
Un’usanza che oggi può apparire terribile ma che negli stazzi della gallura e nei piccoli paesi lontani da un medico molti giorni di cavallo, questo metodo serviva ad evitare lunghe e atroci sofferenze del malato ed aveva, inoltre, un suo significato ben preciso. Il fatto che fosse affidata ad una donna “s’accabadora” significa che aveva una notevole importanza
Le cose andavano così. La femmina “accabadora” arrivava nella casa del moribondo sempre nelle ore della notte e, dopo aver fatto uscire i familiari, che l’avevano chiamata, dalla stanza, la donna assestava il colpo de “su mazzolu” provocando la morte del malato. Quasi sempre il colpo era diretto alla fronte, da cui, probabilmente, come detto, il termine accabadora, dallo spagnolo acabar, terminare, significato alla lettera “dare sul capo”. La femina “accabadora” andava via dalla casa in punta di piedi, senza chiedere niente in cambio, quasi avesse compiuto una “missione” ed i familiari del “malato” le esprimevano profonda gratitudine per il servizio reso al loro congiunto.
L’argomento della “mazzola” o del martello è stato trattato più volte, oltre che da Lucarelli e Lubrano autori del libro in questione, da antropologi e studiosi di tradizioni popolari. Uno dei primi a parlarne è stato Vittorio Angius, autore sardo, nelle sue opere nel 1832; ma Zenodoto cita Eschilo che parla delle usanze di una colonia cartaginese in Sardegna: usanze che prevedono il sacrificio degli anziani. Giovanni Lilliu parla, invece, di una rupe che si troverebbe in un paese del Nuorese dove erano soppressi gli anziani e i malati.
L'opera di Alessandro Bucarelli e Carlo Lubrano è ricca di riferimenti storici e sociali, è correlato da un'ampia documentazione e propone una precisa e puntigliosa esposizione dei fatti. Nel libro è riportata, altresì, anche un’approfondita Etmologia dei termini usati a quei tempi in Sardegna, studio condotto dagli stessi autori. “Accabadora” , ad esempio, come già accennato, potrebbe derivare dal catalano “acabar”, che significa “porre fine”, oppure - secondo un'ipotesi proposta da Vittorio Angius – come riportato nel libro, potrebbe derivare dal verbo “accabare” il quale, avendo la sua radice in "cabu", capo, avrebbe il significato di “dare sul capo”. Ipotesi quest’ultima accreditata dal rinvenimento degli strumenti usati dalla femmina “accabadora”.
La pratica dell’eutanasia “ante litteram” nei piccoli paesi rurali della Sardegna è legata, in pratica, al rapporto che i sardi avevano con la morte.
Nella cultura della comunità sarda, si “enfatizza” nel libro, non è mai esistito un vero e proprio terrore di fronte agli ultimi istanti della vita dell’uomo. Si può, anzi, dire che i sardi avessero una “propria” e “personale” gestione della morte.
Il fenomeno storico-sociale della femina “accabadora”, si può interpretare in questi termini: i familiari si adoperavano per far si che il malato non soffrisse atroci pene e mettevano, per questo, fine alla sua grama esistenza.
L’argomento del libro ha destato tanto interesse e curiosità anche nella sottoscritta poiché avevo sentito parlare dell’Eutanasia in Sardegna e da sempre desiderato approfondire questo argomento triste ma accattivante per l’interesse storico-sociale che riveste.
Anche una poesia di mio padre, scritta parecchi anni fa, e gelosamente conservata, tratta l’argomento dell’Eutanasia e dell’ “accabadora”. Alla luce dello studio condotto dagli autori del libro “Eutanasia ante litteram in Sardegna” e della documentazione rinvenuta, si capisce che questa poesia in lingua sarda, dall’argomento così inquietante, è diventata, ora, un documento storico-sociale del mio paese e di tutta la Sardegna. Quella che mi era sembrata, leggendo tra le righe, un’acuta e colorata fantasia del poeta mio padre, si è rilevata, invece, la triste verità di un’usanza radicata in molti paesi della Sardegna.
Nella poesia si parla, oltre della femmina “accabadora” e della “mazzucca”(specie di martello) da questa usata, come detto nel libro “Eutanasia ante litteram in Sardegna” di altre forme di Eutanasia praticate, come sembrerebbe anche dalla citazione nel libro del grande studioso sardo “Giovanni Lilliu” che parla, come già detto di una “rupe” esistente in un paese della Sardegna.
Infatti, nella poesia di mio padre è citata pure una rupe dove sarebbero stati portati gli anziani in grado ancora di camminare, e non costretti a letto, dai propri figli per farli morire. Gli anziani erano fatti sedere sopra una “rupe”, sorta di masso grandissimo posto sopra una discreta altura, è detto in lingua sarda nella poesia “S’accabadora” di mio padre, e poi spinti giù a forza dai figli.
In pratica, paragonando l’eutanasia praticata dalla femmina “accabadora” e l’eutanasia della “rupe” si può giungere alla conclusione che la prima era praticata a domicilio per i malati molto gravi costretti a letto e la seconda, invece, per quelli molto vecchi, ma ancora in grado ci camminare, o forse quest’ultima, praticata da coloro che non volevano far sapere “la mostruosità” che stavano per perpetrare nei confronti dei propri genitori.
Ma perché e in che modo, e chi avrà dato fine all’Eutanasia ante litteram in Sardegna?”
Nel libro si dice che essa fu praticata sino ai primi del novecento…
La poesia di mio padre, in lingua sarda, spiega che una volta un vecchio mentre riposava su un masso così ha detto ai figli che lo accompagnavano “a morire”: qui ci passerete anche voi… i figli sentite queste parole, riaccompagnarono il vecchio genitore a casa e da allora “la dolce morte” non fu più praticata in Sardegna.
Verità o fantasia? Sta di fatto che sa femmina “accabadora” è andata in pensione e da fine ottocento (data indicata nel libro da Lucarini e Lubrano), non corre più nella notte ai capezzali dei moribondi…ed il suo strumento è finito in un Museo.
Il testo “Eutanasia ante litteram in Sardegna” tratta, come avete letto un’argomento molto triste e per niente rassicurante, ma riveste un documento storico-culturale di notevole importanza per la conoscenza della civiltà dei sardi.
Per questo tutti lo hanno acquistato, se ne è discusso in molte sedi, sono stati organizzati convegni ed il libro è stato ampiamente presentato al pubblico alla presenza degli stessi autori. Il Museo “Galluras” dove sono conservati gli “strumenti” di “sa femmina accabadora” hanno incrementato le visite ed una pedina di rilevanza storica e sociale si è aggiunto alla già ampia storiografia del periodo storico sardo, grazie a due grandi studiosi quali il Dottor Alessandro Lucarelli e Calo Lubrano ed alla Scuola Sarda che ha edito il libro.
Il libro costava, alla sua uscita sul mercato librario, 20,00 Euro, attualmente, invece, il suo prezzo è stato maggiorato di 5,00 Euro a causa della difficile reperibilità del prodotto. A copertura dei necessari costi aggiuntivi, spiegano i rivenditori.
Se leggerete il libro, non aspettatevi nessun che di divertente o fiabesco, ma una puntigliosa documentazione storica e sociale sull’argomento trattato con tanti riferimenti bibliografici e cronologici, come lo sono tutti i libri di storia. Tutto sicuramente molto interessante e istruttivo, utile anche a chi volesse, eventualmente approfondire l’argomento storico o sociale, ad esempio per una tesi di laurea in storia o qualcosa di simile.
Buona lettura.

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