mercoledì 15 febbraio 2012

Le verità scomode.....( campo di concetramento e sterminio creato dall’Esercito Italiano nell’isola di Arbe (Rab))

Un esercito di “morti di fame” che rubava le scarpe ai deportati per non andare a piedi scalzi

Non è Buchenwald, non è Mauthausen, non è Auschwitz. Le foto provengono dal campo di concetramento e sterminio creato dall’Esercito Italiano nell’isola di Arbe (Rab) durante il tentativo di genocidio etnico del popolo sloveno nella follia della “italianizzazione” delle aree della Slovenia e della Dalmazia lasciate al governo italiano dall’esercito tedesco che aveva travolto le difese serbe. Arbe era uno dei campi “nascosti” d’internamento della popolazione civile slovena creati dall’esercito italiano per rappresaglia alla resistenza partigiana iugoslava che continuava a infliggere pesanti perdite agli invasori. La particolarità di Arbe, come degli altri simili campi di stermino, era data dalla presenza solamente di bambini, donne e anziani, perchè i giovani partigiani non venivano mai catturati. Dalle tombe censite ad Arbe sono stati stimati 1.500 morti su una popolazione di circa 15.000 internati. Simon Wiesenthal, tuttavia, ha stimato le morti in oltre 4.000, circa un terzo degli internati. Le cause delle morti furono essenzialmente la fame, il freddo e le malattie epidemiche per mancanza di qualsiasi cura, considerando che l’occultamento dei campi impediva alla Croce Rossa ogni intervento umanitario. La shoah è stata una tragedia indiscutibilmente enorme alla quale non sono stati estranei il governo e il popolo italiano, il genocidio sloveno è però un fatto totalmente italiano che l’opportunismo del cambio di alleanze da parte dei “reali” piemontesi in fuga e l’eroica resistenza dei partigiani italiani, sottraendo l’Italia al tribunale per i crimini di guerra, ha impedito di accertare e punire.
E’ giusto celebrare il “giorno della memoria” dello sterminio ebraico e ricordarlo incessantemente alle nostre nuove generazioni, ma è fuori discussione che ai “figli dei figli” dei criminali di Arbe dovrebbero anzitutto essere ricordati i crimini commessi dai loro avi, motivatamente e documentalmente rifiutando la aberrante logica del “conto pari” delle asseite foibe jugoslave.

Nella primavera del 1941 l’esercito tedesco travolge le difese del Regno di Jugoslavia che viene frammentato in una serie di stati e distretti distinti a seconda dell’etnia e dell’influenza politica degli alleati dell’Asse. All’Italia, accorsa con il suo esercito dopo il collasso della Jugoslavia, viene assegnata la Slovenia, parte delle coste dalmate sino a Cattaro e il Montenegro in “onore” della regina Elena. La Croazia viene costituita in regno formalmente incoronando il “nobile” Aimone di Savoia Aosta duca di Spoleto, che in verità non salirà mai al trono, e affidata concretamente al governo del criminale nazista Ante Pavelic. Al momento dell’ingresso dell’esercito italiano nel territorio jugoslavo la presenza di cittadini di origine e lingua italiana era estremamente modesta ed essenzialmente concentrata nell’Istria. Nessuna presenza significativa italiana, così come nessuna influenza economica, commerciale o cultuale intercorreva tra l’Italia e la confinante Slovenia. Nella follia imperiale propria del fascismo, ma pienamente condivisa dalla casa reale piemontese e dalle classi dominanti italiane, nacque allora l’idea della creazione di una provincia slovena parte integrante del territorio del Regno d’Italia. Ebbe così inizio un processo italianizzazione di quei territori che, da culturale con la soppressione della lingua slovena e l’imposizione di quella italiana, l’allontanamento dei non italiani da ogni impiego pubblico e soprattutto dell’insegnamento, ben presto si trasformò in una vera e propria pulizia etnica, portata all’estremo di una folle proposta avanzata a Mussolini da Italo Sauro, figlio dell’eroe Nazario della prima guerra mondiale, di deportare tutti i giovani sloveni ultra quattordicenni in Germania, soluzione “per fortuna” respinta dagli stessi tedeschi. La brutalità e la violenza dell’occupazione italiana provocò una reazione di resistenza nei territori occupati dagli italiani non minore di quella sorta nei restanti territori della ex Jugoslavia sotto il dominio tedesco. L’esercito italiano, nonostante l’impiego di truppe scelte dei granatieri di Sardegna e un consistente numero di Carabinieri Reali, non riuscì mai a tenere testa alla resistenza slava, nonostante tre successive offensive a vasto raggio, alcune con l’impiego dei mercenari cetnici e l’aiuto di reparti tedeschi. La risposta a tale impotenza fu l’avvio di una strategia di “terra bruciata”, con il sistematico saccheggio dei paesi, la distruzione di interi villaggi e la deportazione massiccia di civili presunti sostenitori della resistenza. Nella quasi totalità si trattava di donne, bambini e anziani non in grado di unirsi alla resistenza. A tal fine vennero creati numerosi campi di concentramento, taluni anche nell’Italia centrale in Toscana e in Umbria, dove vennero concentrati circa 30.000 deportati. Nel febbraio 1942, al massimo dell’impotenza della guerra contro la resistenza slava sempre più forte e sostenuta dalla popolazione, l’esercito italiano circondò la capitale della provincia, Lubiana, con un reticolato di filo spinato in cerchi concentrici lungo circa 41 chilometri, passando al setaccio quartiere per quartiere la città. Nel corso dei circa 29 mesi di occupazione italiana della Slovenia, tra fucilati e morti nei campi di concentramento, vennero uccisi circa 13.000 sloveni pari al 2,6% della popolazione. Già prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943 i rapporti di forza tra l’esercito occupante e la resistenza jugoslava unificata sotto la guida di Tito e del partito comunista, erano totalmente cambiati ed ebbe inizio una rotta disastrosa dell’esercito italiano che venne fermata solo dalla durezza dello scontro ancora in corso tra l’esercito di liberazione jugoslavo e le truppe tedesche (va ricordato che i partigiani jugoslavi in quegli anni impegnarono da soli un numero di divisione tedesche equivalente a quello di quelle impegnate dal fronte alleato in Italia). Il successivo passaggio dell’Italia dalla parte degli alleati e, soprattutto gli accordi di Yalta, all’epoca rispettati dai comunisti jugoslavi, impedirono l’annessione dell’area di Trieste alla nuova Repubblica Jugoslava, ma invertirono totalmente il processo di italianizzazione della Dalmazia e della Slovenia a vantaggio del ritorno nelle loro case e territori degli slavi deportati dall’esercito italiano. Il revisionismo storico, forte della sottrazione della nuova Italia antifascista e repubblicana ai processi per i crimini di guerra intrapresi a carico dei nazisti tedeschi, ha cercato di “pareggiare” il conto della barbarie dell’occupazione italiana con le reazioni, certamente non meno dure e vendicative, della resistenza jugoslava vincitrice. E’ nata così la retorica delle “foibe” (cavità naturali del terreno carsico istriano) nelle quali sarebbero state sepolte collettivamente le vittime delle vendetta slava. E’ sicuramente un dato storico e assolutamente (quanto bestialmente) coerente con la barbarie dei tempi, quello di una sanguinosa vendetta della resistenza slava tornata nel possesso dei propri territori liberati dall’occupazione militare straniera, anche se non vi sono dati certi, cioè reali e verificati, dei numeri di tali ritorsioni (includendovi peraltro anche quelle legittimate dalle responsabilità criminali di molti degli occupanti italiani). Non si tratta qui (e comunque mai) di confrontare numeri, né di cercare giustificazioni di azione/reazione (che pure hanno un loro indubbio significato politico ed etico), quanto di voler richiamare la memoria e la consapevolezza di una responsabilità storica che se non riconosciuta, ammessa e denunciata, può riprodurre nel futuro analoghe, se non proprio identiche, vicende di violenza e bestialità, e questo, purtroppo, è accaduto e non una sola volta e neppure in un remoto passato, anzi forse proprio oggi si sta ripetendo con la follia della guerra “umanitaria” in Libia. Un’ultima nota non di poca importanza. Le vicende narrate sono, come ogni notizia, dato o informazione pubblicata da questo giornale, verificate e verificabili. Se andrete negli appositi siti internet le troverete narrate anche una crudezza e violenza assai maggiore. In quei siti (o almeno in taluni di essi) troverete però anche una “imbarazzante” tesi giustificativa del comportamento della “brava gente” italiana che in brevissima sintesi afferma: gli italiani non sono stati da meno dei tedeschi nel compiere atti di violenza ai danni dei popoli invasi, i tedeschi tuttavia lo facevano perché era nella loro “natura criminale”, gli italiani no, gli italiani lo facevano perché erano dei pezzenti come e forse persino di più dei popoli violentati. Così quando i “bravi” soldati italiani durante un rastrellamento dei villaggi sloveni saccheggiavano le case prima di bruciarle e inviavano ai loro parenti in Italia vecchie scarpe, vestiti usati, pentole e posate, e poi facevano morire di freddo, malattie e fame i vecchie e i bambini nei campi di concentramento, lo facevano perché erano così poveri da dover rubare le scarpe per non andare a piedi nudi e certamente non potevano dividere un pane che non bastava neppure per loro. Domanda: è una giustificazione? O è l’espressione più chiara ed evidente di quanto una guerra può trasformare degli esseri umani, quanto meno normali in condizioni normali, in bestie?
URL breve: http://archivio.piazzadelgrano.org/?p=5485

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