mercoledì 30 aprile 2008


Il Quarto Stato fu dipinto da Pellizza tra il 1898 e il 1901 e venne acquistato per pubblica sottoscrizione dal Comune di Milano nel 1920; da allora fa parte delle Civiche Raccolte d'Arte (oggi Galleria d'Arte Moderna presso palazzo Belgiojoso Bonaparte in via Palestro). Pellizza decise il titolo con cui il quadro è universalmente noto poco prima di inviarlo alla Prima Quadriennale di Torino del 1902, in sostituzione del precedente Il cammino dei lavoratori, con una più consapevole scelta di classe, maturata a margine di letture socialiste e anche di una riflessione sulla Storia della rivoluzione francese di J. Jaurès, che in quegli anni usciva in edizione italiana economica e a dispense. Il soggetto è ispirato a uno sciopero di lavoratori, un tema che aveva interessato i pittori del realismo europeo alla fine dell'Ottocento (da Lo sciopero dei minatori di Alfred-Philippe Roll del 1884 a Sciopero di Plinio Nomellini del 1889, a Una sera di sciopero di Eugene Laermans del 1893).
Rispetto ai contemporanei il quadro di Pellizza rifiuta caratterizzazioni di eccitata protesta o di passiva rassegnazione, ma legando il tema iconografico dello sciopero con quello della sfilata che caratterizzava le celebrazioni della festa dei lavoratori, presenta una schiera di braccianti che avanza frontalmente, guidata in primo piano da tre persone in grandezza naturale: un uomo al centro affiancato, in posizione leggermente arretrata, da un secondo lavoratore più anziano e da una donna con un bimbo in braccio. La scena si svolge su una piazza illuminata dal sole chiusa sul fondo da folte macchie di vegetazione, che schermano anche le architetture esistenti, e da una porzione di cielo bluastro con striature rossastre iscritta in una cornice centinata. L'organizzazione dei personaggi fu lungamente studiata da Pellizza attraverso disegni preparatori a carboncino e gesso di grande suggestione compositiva e chiaroscurale: disegni singoli per i tre protagonisti, a gruppi per i personaggi in secondo piano, e di dettaglio per teste o mani delle ultime figure sul fondo.
Come i tre personaggi principali non si collocano su un'unica linea ma hanno un'impostazione leggermente a cuneo, così anche i personaggi in secondo piano sono solo apparentemente disposti a schiera, perché in realtà, come è ben evidenziato anche dalle loro ombre, si distribuiscono secondo una linea ondulata ribadita da un analogo comporsi del movimento delle mani nonché dal ritmo e dalla direzione delle loro teste. Questa soluzione contribuisce a evitare che il tutto appaia statico e greve, e a suggerire invece un movimento ritmico e continuo, che ben rappresenta ed evidenzia l'idea dell'avanzata. Anche le diverse condizioni di luce concorrono ad accentuare questa impressione di moto, perché mentre lo sfondo del cielo rappresenta un tramonto, le figure sono viste in una luce quasi meridiana: si accentua in tal modo l'idea dì un trascorrere del tempo e quindi di un collocarsi dell'episodio in uno spazio e in un tempo apparentemente unitari e contingenti, ma, in realtà, espressione di una dimensione più articolata e capace di alludere a un lampo e a una natura che diventano il simbolo di una storia e di valori più universali. In essi infatti si materializza l'avanzare inarrestabile di uomini e donne le cui connotazioni descrittive di età e di classe vengono rielaborate e riassorbite in forme nutrite di una profonda cultura pittorica che attinge ai modelli rinascimentali (Raffaello, Michelangelo, Leonardo, Botticelli) lungamente studiati nei musei di Firenze, nelle Stanze e nei Palazzi Vaticani, e sulle fotografie Alinari, che di tali capolavori documentavano efficacemente forme, ritmi e articolazioni compositive. La volontà dell'autore di misurarsi al tempo stesso con la contemporaneità e con la storia si traduce non nella semplice riproposizione di un episodio contingente di uno sciopero o di una manifestazione di protesta, da cui pure aveva tratto fin dal 1891 la prima idea del quadro - in una ricerca che aveva prodotto il più oggettivamente naturalistico Ambasciatori della fame del 1892 e la interpretazione meno oggettiva e fortemente simbolista di Fiumana del 1895-96 -, ma nella ideazione di un quadro capace di esaltare l'oggettività delle forme e di simbolizzare tutto il cammino che la classe lavoratrice aveva fatto e si preparava a compiere, un cammino di affrancamento dall'abbrutimento della fatica verso una più umana consapevolezza del proprio valore e della propria forza, un percorso frutto di azione ma anche di pensiero.
Un simile elogio della contemporaneità non poteva essere realizzato se non con una tecnica capace di essere assolutamente moderna, e cioè scientificamente controllata nei passaggi costruttivi della figura ma anche nello studio degli accordi e dei contrasti delle luci a partire dalle basi offerte dalla fisica e dalla chimica ottocentesche. Il Quarto Stato è un'opera complessa, frutto di una tecnica cromatica matura ed efficace. Sulla grande tela, preparata a colla e gesso, Pellizza tracciò le linee di riferimento necessarie per costruire i numerosi personaggi su vari piani e la scena d'ambiente, utilizzando veline ricavate a penna sulla base di diversi cartoni a carboncino; intervenne poi col colore che usò puro, nella ricca gamma di toni messa a disposizione a fine Ottocento dalla casa parigina Lefranc, e che applicò a punti e lineette secondo le leggi del divisionismo, per rendere non solo effetti convincenti di luce ma anche di ariosità e di massa sia nel paesaggio sia nelle figure. Nel piano d'appoggio dominano tonalità ocra e rosate, che trovano il loro punto di massima accensione nel gilet rosso del personaggio in primo piano; nelle figure gli abiti sono realizzati con colori verdastri e giallo sulfurei, ottenuti con una ripetuta sovrapposizione dei vari pigmenti colorati, studiati nelle loro interferenze e nei loro timbri sulla base di cerchi cromatici del tipo elaborato da N.O. Rood (Modern Chromatics uscito a Londra nel 1879), capaci di determinare particolari intensità di toni sfruttando le leggi del contrasto e della complementarità. Anche la dimensione e la direzione delle pennellate contribuiscono a costruire le forme in modo tale da garantire a esse volume pur senza accentuarne la pesantezza o la robustezza. Analoga sapienza denotano le macchie di vegetazione che mediano con il loro controluce e la ricchezza de! fogliame tra la piena luminosità del primo piano e il corrusco tramonto di fondo. Proprio queste caratteristiche di serena oggettività, ma anche di forza e di sicura determinazione hanno contribuito a definire il valore simbolico dell'opera adottata come manifesto dai lavoratori e dalle loro associazioni fin dall'inizio della sua storia espositiva, all'origine di una lunga serie di usi e di riprese soprattutto nella seconda metà del Novecento.

[Testo di Aurora Scotti, tratto da Cento opere. Proposte di lettura, in Enciclopedia dell'arte, Milano (Garzanti) 2002]


domenica 27 aprile 2008

Elzeviro

Da Wikipedia

Col termine elzeviro si definisce un articolo giornalistico di approfondimento, di solito non legato alla cronaca. Apparve per la prima volta all'inizio del Novecento su idea di Alberto Bergamini, fondatore e direttore del Il Giornale d'Italia, che dedicò l'intera terza pagina del numero del 10 dicembre 1901 alla prima di Francesca da Rimini con Eleonora Duse presso il Teatro Costanzi di Roma. Dal 3 gennaio 1905 il Corriere della Sera iniziò a fare altrettanto e l'elzeviro divenne così codificato ed "istituzionalizzato".

Gli autori degli elzeviri erano di solito scrittori o giornalisti affermati: non essendo un pezzo d'informazione in senso stretto, doveva infatti brillare per le sue qualità letterarie. Per questo motivo era confinato nella terza pagina, quella riservata agli avvenimenti culturali.

L'elzeviro poteva essere una rubrica fissa, affidata a uno o più giornalisti in rotazione. Non era infrequente, poi, che questi collaboratori raccogliessero i propri elzeviri in volume: è il caso ad esempio di Farfalla di Dinard e Auto da fé, due opere che raccolgono gli elzeviri composti da Eugenio Montale, per il Corriere della Sera.

Negli anni Venti o Trenta del secolo XX, l'elzeviro contribuì in modo decisivo a diffondere in Italia il gusto per la "prosa d'arte": tra i maestri riconosciuti di questo genere letterario, il critico Emilio Cecchi.

Più recentemente il termine ha assunto una sfumatura spregiativa: per elzeviro s'intende infatti spesso un articolo scritto con un'eccessiva cura formale ma che non presenta particolari motivi d'interesse; una "variazione sul tema" scritta, per esempio, con lo scopo di riempire una mezza pagina.

L'elzeviro può essere considerato un parente decaduto dell'editoriale e del corsivo: il primo è un testo di approfondimento affidato a un giornalista affermato, che di solito non dà informazioni di prima mano ma riprende e commenta le notizie del giorno; il secondo è un testo più breve (a volte una rubrica), scritta di solito in tono ironico o con vis polemica.

Il nome elzeviro deriva da quello di un carattere tipografico utilizzato dagli stampatori olandesi Elzevier, operanti tra il Cinquecento e il Seicento.

Preparem as fogueiras irmãos!!!

Finalmente chegou! A ultima novidade tecnológica esta finalmente a venda .

O Reverendo e Cientista Norte Americano Dr. Manolo Creio anunciou que mantém a data do lançamento anunciado para o Dia 11 de Setembro de 2007 do NOMAXHEREGE1 ou seja o capacete cristianometro que consegue determinar com uma precisão incrível o grão de Fé de uma pessoa detectando níveis de heresia mínimos, contrariando assim os rumores em torno de um eventual adiamento para 2009. Segundo um porta-voz da NOMAX, o respeito do prazo previsto é essencial para que a empresa mantenha a sua liderança no mercado dos gadget religiosos .O Preço e as estratégias de venda são mantidas no mais rigoroso sigilo. O NOMAHHEREGE1 vai também estar a venda nos melhores sites comerciais de produtos religiosos.

(hehehehe brincaderinha do guido)

"A forza di criticare il proprio tempo si finisce per non appartenergli"

Ennio Flaiano

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.




« Fra 30 anni l'Italia non sarà come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la TV. »

(Ennio Flaiano)

Ennio Flaiano (Pescara, 5 marzo 1910Roma, 20 novembre 1972) è stato uno scrittore, sceneggiatore e giornalista italiano.

Specializzato in apprezzati elzeviri, fu anche umorista, critico teatrale e cinematografico. Scrisse per Oggi, Il Mondo, Il Corriere della Sera e altre testate.


Biografia

Nato da Cetteo Flaiano il 5 marzo del 1910, Flaiano passa un'infanzia di viaggi e spostamenti continui: tra Pescara, Camerino, Senigallia, Fermo e Chieti, tra scuole e collegi. Tra il 1921 e il 1922 arriva a Roma dove termina gli studi e si iscrive ad architettura. Lo studio universitario non verrà portato a termine. All'inizio degli anni '30 conosce Mario Pannunzio e altre firme del giornalismo italiano, iniziando a collaborare per le riviste Oggi, Il Mondo, Quadrivio. Nel 1940 sposa Rosetta Rota, sorella del musicista Nino Rota. Nel 1942 nasce la figlia Lelè. All'età di otto mesi inizia a dare i primi segni di una gravissima forma di encefalopatia che le comprometterà tragicamente la vita. Splendide pagine su questo drammatico evento si trovano ne La Valigia delle Indie. Dal 1943 inizia a lavorare per il cinema con Fellini, Blasetti, Monicelli, Antonioni e molti altri. Al cinema lo leghera per sempre un rapporto di amore-odio. Nel 1947 vince il primo Premio Strega con Tempo di uccidere, appassionato romanzo sulla sua esperienza in Etiopia. Tra il 1947 e il 1971 scrive alcune tra le più belle sceneggiature del cinema del dopoguerra. Nel 1971 viene colpito d aun primo infarto. "Tutto dovrà cambiare", scrive tra i suoi appunti. Inizia a rimettere ordine tra le sue carte, per dare alle stampe una versione organica della sua instancabile vena creativa: appunti sparsi su fogli di ogni tipo vengono lentamente catalogati. Ma gran parte di questo corpus di scritti è destinato a essere pubblicato postumo. Il 5 novembre del 1972 inizia a pubblicare sul Corriere della Sera alcuni brani autobiografici. Il 20 novembre dello stesso anno, mentre è in clinica per alcuni semplici accertamenti, viene colpito da un secondo infarto. La figlia Lelè morirà a 40 anni, nel 1992. La moglie Rosetta si è spenta alla fine del 2003. La famiglia è riunita nel cimitero di Maccarese, vicino Roma.


Flaiano e Roma [modifica]

Targa posta presso l'abitazione di Ennio Flaiano a Via Montecristo (Roma - Montesacro)

Targa posta presso l'abitazione di Ennio Flaiano a Via Montecristo (Roma - Montesacro)


Il nome di Flaiano è legato indissolubilmente a Roma, città amata e odiata. Testimone delle evoluzioni e degli stravolgimenti urbanistici, dei vizi e delle virtù dei cittadini romani, Flaiano ha saputo vivere la Capitale in tutti i suoi aspetti, tra cantieri, locali della "Dolce Vita", strade trafficate. Ne La Solitudine del Satiro Flaiano ha lasciato numerosi passi riguardanti la sua Roma. In particolare va ricordato un lungo articolo (apparso su Il Mondo nel 1957) nel quale viene descritt ala nascita del quartiere Talenti, nella zona nord-est di Roma, segno della frenetica crescita urbanistica, che lentamente inghiottiva la campagna circostante. Nella zona limitrofa (il quartiere Montesacro), Ennio Flaiano visse dal 1952 e qui una targa commemorativa (posta dalla Compagnia Teatrale LABit) ricorda il suo passaggio. Sembra quasi confermare il difficile rapporto di Flaiano con Roma il fatto che la tomba dell'autore si trovi a Maccarese (Fregene), zona marittima alle porta della Capitale, dove Flaiano visse diversi anni.

Letteratura

Fine ed ironico moralista - ma anche acre e tragico al tempo stesso - produsse opere narrative e varie prose tutte percorse da un'originale vena satirica ed un vivo senso del grottesco, attraverso cui vengono stigmatizzati gli aspetti paradossali della realtà contemporanea. Introdusse nella lingua italiana la nota espressione "saltare sul carro del vincitore".

Primo vincitore del Premio Strega, nel 1947, con il suo più famoso scritto, Tempo di uccidere.

Monumento dedicato ad Ennio Flaiano all'ingresso del centro storico di Pescara
Monumento dedicato ad Ennio Flaiano all'ingresso del centro storico di Pescara

Romanzi e racconti [modifica]

Cinema [modifica]

Flaiano è stato sceneggiatore e soggettista di numerosissimi film tra i quali sono da ricordare Roma città libera (1948), Guardie e ladri (1951), La romana (1954), Peccato che sia una canaglia (1955), La notte (1961), Fantasmi a Roma (1961), La decima vittima (1965), La cagna (1972). Ha collaborato con Federico Fellini alla sceneggiatura od al soggetto dei film I vitelloni (1953), La strada (1954), Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1960) ed 8 e ½ (1963).

Il Premio Flaiano

Alla sua memoria, nel 1974, è stato dedicato il Premio Flaiano, certamente il concorso più importante per soggettisti e sceneggiatori del cinema. La manifestazione si svolge ogni anno nella sua città natale, Pescara.


lunedì 21 aprile 2008

Da : " LA STAMPA"


Mr Ikea l’uomo che battezza i comodini

Da bambino vendeva fiammiferi
Oggi il catalogo dei suoi mobili è il testo più letto dopo la Bibbia

31/3/2006
di Marina Verna



Ingvar Kamprad

corrispondente da BERLINO
A cinque anni andava in bicicletta da Agunnaryd a Malmoe, comprava i fiammiferi a pacchi e li rivendeva ai vicini a decine. A nove andava a pescare e recapitava i salmoni a domicilio. A 17 creava una società di vendita per corrispondenza: biro, portafogli e semi di verdure consegnati dal lattaio. A 27 il suo primo mobilificio. Oggi Mr. Ikea è il quarto uomo più ricco del mondo. Ieri ha compiuto 80 anni ed è ancora pieno di progetti: «C'è troppo da fare perché abbia tempo per morire». Infatti non si ritira e tiene sulla corda i tre figli. Tutti in azienda, ma a sovranità limitata. Anni fa dicevano che li avrebbe diseredati, perché avessero il gusto di creare qualcosa di loro. Ora ha annunciato che lascerà l'intero patrimonio a quello che avrà meglio gestito Habitat, la catena di mobili di alta gamma nata nel 1992.

Ingvar Kamprad ha la nazionalità svedese ma la testa tedesca, eredità dei nonni. E' laborioso, disciplinato, modesto. Ed è pure un originale. Uno di quelli che in Germania chiamano «Querdenker», un pensatore laterale. Uno che fa il contrario degli altri. Ha un motto: in ogni problema c'è un'opportunità. Adesso si lamenta che di problemi ne ha troppo pochi. Voleva fare soldi: suo nonno - un contadino emigrato in Svezia a fine '800 dai Sudeti - si era ucciso perché non riusciva a ripagare il prestito con cui aveva comprato la fattoria. Lui ha un patrimonio valutato 15 miliardi e sistemato in modo molto opaco tra l'Olanda e il Lussemburgo. Possiede di tutto, compresi vigneti in Francia e una linea ferroviaria per le merci Svezia-Germania. Vive in Svizzera, sul lago di Losanna. Per le tasse? «Diciamo non per amore delle montagne», ha risposto un collaboratore a un giornalista ficcanaso.

La sua avarizia è leggendaria. Come la sua - discretissima - filantropia. Va in ufficio in metropolitana, fa la spesa quando il mercato sotto casa smonta, viaggia in classe economica, non butta via un foglio se non è stato usato da entrambi i lati, si fa tagliare i capelli dalla moglie e, quando dal bar della camera d'albergo prende una bevanda, la rimpiazza con una comprata al supermercato. E' un imperativo morale: «Se pratico il lusso, non posso predicare il risparmio. E' una questione di buona leadership».

Il padre di Kamprad era guardaboschi e questo spiega l'interesse del figlio per il legname e i suoi derivati. Comincia con una sedia, una poltrona e un tavolino basso, che fa costruire in una falegnameria vicino a casa e mette in vendita a un prezzo del 30% più basso del mercato. Ben presto si allarga: nel 1953 compra delle baracche abbandonate, cambia le finestre e apre il primo punto-vendita, dove si può toccare e provare. I clienti vengono accolti con un caffè e un panino. «Nessuno compra mobili se ha la pancia vuota», scriverà nella sua autobiografia - «La storia dell'Ikea» - uscita nel 1998. Il marchio è sempre quello della vecchia società, un acronimo: I come il suo nome, K come il suo cognome, E come Elmtaryd la fattoria, A come come Agunnaryd il villaggio. Chiede ai designer di progettare componenti e non pezzi interi: occupano meno spazio, riducono le spese di trasporto e magazzino. Ricicla gli scarti di una lavorazione in nuovi prodotti. E chiede ai clienti di montare i mobili da sé: «Tu fai la tua parte, noi facciamo la nostra e insieme risparmiamo». Battezza ogni pezzo: nomi femminili per le camere da letto, maschili per le cucine.

I concorrenti sono colti di sorpresa dal nuovo marketing e dal suo successo. E si alleano per tenere Kamprad fuori dalle fiere del mobile. Ricattano i fornitori: se lavorate per lui, avete chiuso con noi. Lui risponde facendosi consegnare la merce di notte. Ma quando ha un ordine di 40 mila sedie e nessuno che gliele fabbrica in tempo, si guarda intorno e le fa costruire in Polonia. A Varsavia scopre, oltre alle gioie della delocalizzazione, anche quelle della vodka. E' il suo peccato, pienamente confessato: «Amo l'alcol. Faccio pause da astemio per evitare problemi, ma poi ricomincio». L'altro peccato sono i trascorsi nazisti. La nonna, che amava Hitler perché aveva annesso i Sudeti alla Germania, lo infetta con l'entusiasmo per il Fuehrer e lo manda alle riunioni filonaziste. La vicenda viene a galla nel 1994 e sarebbe un disastro d'immagine, se Kamprad non avesse l'abitudine delle lettere di scuse ai dipendenti: per un obiettivo mancato, una decisione sbagliata, un prodotto malriuscito. Anche questa volta parte una lettera: «E' stato il più grande errore della mia vita. Lo rimpiango amaramente. Perdonatemi». L'espansione continua. Oggi il catalogo Ikea - 160 milioni di copie in 24 lingue diverse - è il testo più letto al mondo dopo la Bibbia.

domenica 13 aprile 2008

Bozza:Cerchi od aspetti?


Guardando un programma televisivo ascoltavo le riflessioni di un depresso e mi ha colpito quando ad un certo punto parlando della sua malattia raccontava che passava la vita ad aspettare e che si rendeva conto che lui percepiva l'esistenza come un fardello.
Quella frase: "passo la vita ad aspettare"
mi ha particolarmente colpito.
Mi sono reso conto che normalmente chi è felice vive attivamente e alla ricerca, chi invece è infelice si immobilizza ed aspetta.

Credo che la felicità risieda proprio nella busca e non nel possesso.

Meno si ha -
più si ricerca e più si è felici.

Più si ha -
più si aspetta e vittime della paura di perdere e nella noia del non bisogno si è infelici.


Le nostre chiese, i nostri gruppi di preghiera, i nostri tempi, sono strapieni di persone che aspettano passivamente che Dio ci risolva la vita e l'esistenza.
E ci ritroviamo a vivere in un immobilità sostanziale sia nei confronti di Dio che verso il prossimo, e per far passare il tempo ci immergiamo in una quotidianità di atti e ritualità più superstiziose che spirituali o nello studio profondo ma spesso fine a se stesso della Parola.
Ma purtroppo Parola separata dal sentimento è quasi nulla.

Cosi come in un gioco di specchi, colui che è felice e soddisfatto anche quando di fatto si mette ad aspettare in realtà ricerca, e colui che è infelice ed insoddisfatto anche quando sembra che ricerchi invece è immobile ed aspetta.
Se facciamo un offerta, se aiutiamo qualcuno, se preghiamo o se rinunciamo, dobbiamo domandarci se lo stiamo facendo aspettandoci qualcosa in cambio o se invece stiamo alla ricerca di una felicità interiore motivata dalla necessità di trovare un valore più alto da attribuire all'esistenza?
Insomma cosa è giusto? Aspettare una ricompensa in un altra od in questa vita ,oppure ricercare un motivo ed un perché più alti da attribuire alla nostra esistenza e di tutto quello che esiste e ci circonda?

guido.

sabato 5 aprile 2008

Ignorância mata


Essa menina bonita se chama Madeline Neumann. A última vez que viu um médico foi aos três anos, pois seus pais acreditam no Poder da Oração, não em meros remédios.

Por isso quando Madeline começou a se sentir mal, eles fizeram o que era sensato: Rezaram por ela. Juntaram amigos em casa, de seu Grupo de Oração, e por um mês depositaram toda sua fé pedindo ao Senhor que curasse Madeline, uma alegre menina de 11 anos.

Nas palavras dos próprios pais. “aparentemente não tínhamos fé o suficiente”, e sendo assim, Madeline morreu. Mas não se preocupe, a mãe dela acha que se rezar com bastante fé, Madeline pode ser ressucitada.

Os seculares e ateus médicos que fizeram a necrópsia descobriram que Madeline morreu de cetoacidose diabética, uma complicação da Diabetes Mielitus, uma condição que pode ser curada com fé, oração, intervenção divina ou insulina.

Como Madeline descobriu da pior maneira, o único com garantia de funcionar é a insulina.
Infelizmente Darwin pode ser bem cruel com criancinhas.

O pior é que os pais que ASSASSINARAM a pobre Madeline continuam com a guarda dos outros três filhos do casal.

fonte: Fox News [via blog do Cardoso]

Sexta-feira braba essa...